(di Marcello De Angelis)
Cosa ci dicono la catastrofe del Festival di Sanremo e il fatto che tutti i partiti che parteciperanno alle prossime elezioni sono formazioni radicalmente “nuove” per prospettiva e origine? Ci dicono che il Novecento è finito.
Ci dicono che, come nel caso del regime sovietico, quando una cosa non si riesce a cambiarla ne fa comunque giustizia il tempo. Le star, come i tiranni e i santi, ad un certo punto muoiono e così le caste, le ideologie e persino le religioni, anche se hanno vite più lunghe. Tutto scorre, lasciando il passo a qualcos’altro. E se il flusso si interrompe, la marea monta e sfonda gli argini, spazza via tutto e poi torna al suo posto e bisogna ricostruire tutto da capo.
Nella nostra società c’è un tale sistema di compensazione che l’equilibrio sembra non saltare mai. Si diventa più poveri, ma non così poveri e in così tanti da giustificare una rivolta. Le classi dirigenti perdono legittimità, ma riescono ad essere così caratteristiche delle espressioni più negativamente diffuse dei popoli che le originano, che alla fine nessuno è veramente motivato a levarsele di dosso.
E in fondo Pippo Baudo e la Carrà ce li siamo meritati fino ad oggi. Daltronde, l’idea di sostituirli non ha fatto che generare degli affiancamenti, che siano i Chiambretti o i Nanni Moretti. In Italia non si butta niente, magari si aggiunge e si accumula. Succede la stessa cosa nelle città, nella politica o nella cultura: privi di una reale volontà o capacità di cambiamento aspettiamo che a rinnovare il nostro mondo ci pensi il buon Dio, chiamando a sé chi ha fatto il suo tempo o mandando un terremoto. Ma anche in quei casi non riesce davvero a scuoterci: laddove in qualsiasi altro posto si spalano le macerie e si costruisce una città nuova, noi ci costruiamo sopra o accanto o magari non costruiamo affatto e teniamo la gente in “comodi” container in attesa della prossima alluvione. E anche nel mondo dello spettacolo, se proprio i beniamini di sempre non reggono più il ritmo, ci mettiamo i figli, le mogli o i nipoti.
Questa volta però, lo dico a malincuore, pare proprio che il secolo sia giunto a conclusione. Con dieci anni di ritardo rispetto alla scadenza naturale e dieci in più rispetto all’evento che ne avrebbe annunciato la fine (la sempre citata caduta del Muro di Berlino...), ma comunque la fine è arrivata. Ci mancherà il Novecento, con le sue grandi narrazioni, il sogno dell’uomo nuovo, la certezza nel sol dell’avvenire e nel progresso che non avrà mai fine, con i suoi film sempre uguali con gli americani che salvano il mondo dai nazisti di tutte le epoche e addirittura di altri pianeti e il festival della canzonetta italiana, che serviva più che altro a farci digerire l’immagine che all’estero ci avevano imposto, quella dell’italiano che è felice quando ha dell’amore e del vino e, a completamento del quadro, l’immancabile mandolino.
L’Italia della Cinquecento e delle mamme grasse, l’Italia baciapile ma libertina, l’Italia dei “quando c’era Lui i treni arrivavano in orario” e degli “addavenì Baffone”, di Peppone e Don Camillo e poi delle stragi mai svelate, dei colpi di Stato da operetta e ancora delle Brigate rosse e dell’uccidere un fascista non è reato... E chi più ne ha più ne metta.
Casini, più Pezzotta, più - se mai ci stesse - Mastella, non saranno mai la Dc e la Sinistra arcobaleno - pur riassumendone tutti i difetti - non sarà mai il Pci. Sono e saranno due formazioni ai margini, loro sì veramente nostalgici di un tempo che non può tornare. Il compromesso storico, sterile amplesso degli anni Settanta, ha partorito il suo mostriciattolo: il Pd di Veltroni, comunista inutile e democristiano senza Dio.
Difficile sapere cosa verrà domani, perché domani non può essere oggi, ma c’è la certezza di quello che è stato ieri e che quindi è andato via e non potrà tornare: la destra perseguitata, marginalizzata e uccisa non ci sarà più. E non tornerà tale nemmeno per creazione artificiale di compagnie teatrali avvezze a organizzare eventi in discoteca e adattare al gusto corrente corpi e abbigliamento. Le mode passano, anche quelle che rispolverano il vintage. Una ragazzina che si veste “anni Settanta” non sarà mai una vera hippy, ma solo una sciacquetta travestita. E figuriamoci quando questi travestimenti investono la politica, con dissacrazioni che vanno ben oltre le magliette con le facce degli idoli di tempi andati.
Il Novecento è finito ed è forse tempo di seppellirlo con tutti gli onori che spettano ai cari estinti, quelli che hanno contato tanto nella nostra vita ma che il tempo si è portato via e che è meglio restino chiusi nel nostro prezioso ricordo che lasciati in pasto agli sciacalli.
Mi sono spesso chiesto quanto possano aver fatto schifo ad un pittore futurista quelli che, trentanni dopo, impastrocchiando delle croste, si presentavano al pubblico come eredi del suo movimento o come addirittura suoi “rinnovatori”. Ora lo so.
Il Novecento è finito. Forse ci mancherà, perché nel Novecento eravamo giovani e avevamo tutti i denti e tutti i capelli, avevamo meno responsabilità e potevamo permetterci di essere incoscienti.
Ma ora comincia il Terzo millennio e comincia per davvero. Se sarà meglio o peggio non sarà colpa di altri, ma di ognuno di noi. Diventare adulto - figlio mio - significa assumersi personalmente il carico di redimere il mondo...
Nella nostra società c’è un tale sistema di compensazione che l’equilibrio sembra non saltare mai. Si diventa più poveri, ma non così poveri e in così tanti da giustificare una rivolta. Le classi dirigenti perdono legittimità, ma riescono ad essere così caratteristiche delle espressioni più negativamente diffuse dei popoli che le originano, che alla fine nessuno è veramente motivato a levarsele di dosso.
E in fondo Pippo Baudo e la Carrà ce li siamo meritati fino ad oggi. Daltronde, l’idea di sostituirli non ha fatto che generare degli affiancamenti, che siano i Chiambretti o i Nanni Moretti. In Italia non si butta niente, magari si aggiunge e si accumula. Succede la stessa cosa nelle città, nella politica o nella cultura: privi di una reale volontà o capacità di cambiamento aspettiamo che a rinnovare il nostro mondo ci pensi il buon Dio, chiamando a sé chi ha fatto il suo tempo o mandando un terremoto. Ma anche in quei casi non riesce davvero a scuoterci: laddove in qualsiasi altro posto si spalano le macerie e si costruisce una città nuova, noi ci costruiamo sopra o accanto o magari non costruiamo affatto e teniamo la gente in “comodi” container in attesa della prossima alluvione. E anche nel mondo dello spettacolo, se proprio i beniamini di sempre non reggono più il ritmo, ci mettiamo i figli, le mogli o i nipoti.
Questa volta però, lo dico a malincuore, pare proprio che il secolo sia giunto a conclusione. Con dieci anni di ritardo rispetto alla scadenza naturale e dieci in più rispetto all’evento che ne avrebbe annunciato la fine (la sempre citata caduta del Muro di Berlino...), ma comunque la fine è arrivata. Ci mancherà il Novecento, con le sue grandi narrazioni, il sogno dell’uomo nuovo, la certezza nel sol dell’avvenire e nel progresso che non avrà mai fine, con i suoi film sempre uguali con gli americani che salvano il mondo dai nazisti di tutte le epoche e addirittura di altri pianeti e il festival della canzonetta italiana, che serviva più che altro a farci digerire l’immagine che all’estero ci avevano imposto, quella dell’italiano che è felice quando ha dell’amore e del vino e, a completamento del quadro, l’immancabile mandolino.
L’Italia della Cinquecento e delle mamme grasse, l’Italia baciapile ma libertina, l’Italia dei “quando c’era Lui i treni arrivavano in orario” e degli “addavenì Baffone”, di Peppone e Don Camillo e poi delle stragi mai svelate, dei colpi di Stato da operetta e ancora delle Brigate rosse e dell’uccidere un fascista non è reato... E chi più ne ha più ne metta.
Casini, più Pezzotta, più - se mai ci stesse - Mastella, non saranno mai la Dc e la Sinistra arcobaleno - pur riassumendone tutti i difetti - non sarà mai il Pci. Sono e saranno due formazioni ai margini, loro sì veramente nostalgici di un tempo che non può tornare. Il compromesso storico, sterile amplesso degli anni Settanta, ha partorito il suo mostriciattolo: il Pd di Veltroni, comunista inutile e democristiano senza Dio.
Difficile sapere cosa verrà domani, perché domani non può essere oggi, ma c’è la certezza di quello che è stato ieri e che quindi è andato via e non potrà tornare: la destra perseguitata, marginalizzata e uccisa non ci sarà più. E non tornerà tale nemmeno per creazione artificiale di compagnie teatrali avvezze a organizzare eventi in discoteca e adattare al gusto corrente corpi e abbigliamento. Le mode passano, anche quelle che rispolverano il vintage. Una ragazzina che si veste “anni Settanta” non sarà mai una vera hippy, ma solo una sciacquetta travestita. E figuriamoci quando questi travestimenti investono la politica, con dissacrazioni che vanno ben oltre le magliette con le facce degli idoli di tempi andati.
Il Novecento è finito ed è forse tempo di seppellirlo con tutti gli onori che spettano ai cari estinti, quelli che hanno contato tanto nella nostra vita ma che il tempo si è portato via e che è meglio restino chiusi nel nostro prezioso ricordo che lasciati in pasto agli sciacalli.
Mi sono spesso chiesto quanto possano aver fatto schifo ad un pittore futurista quelli che, trentanni dopo, impastrocchiando delle croste, si presentavano al pubblico come eredi del suo movimento o come addirittura suoi “rinnovatori”. Ora lo so.
Il Novecento è finito. Forse ci mancherà, perché nel Novecento eravamo giovani e avevamo tutti i denti e tutti i capelli, avevamo meno responsabilità e potevamo permetterci di essere incoscienti.
Ma ora comincia il Terzo millennio e comincia per davvero. Se sarà meglio o peggio non sarà colpa di altri, ma di ognuno di noi. Diventare adulto - figlio mio - significa assumersi personalmente il carico di redimere il mondo...
1 commento:
Su indy piemonte c'è un ottimo articolo di cui raccomando la lettura:
"La Repubblica (CIR Group): ecco come funziona la fabbrica del fango".
http://piemonte.indymedia.org/article/8579
Un armatoruccolo (Paolo Clerici) esercita pressioni su Franco Manzitti (direttore di Repubblica) il quale chiede favori per far assumere il suo fratellino in porto.
Mi sovviene un dubbio amletico. Quella di venire in soccorso dei "fratellini" deve essere proprio un'anomalia tutta genovese. Anche Anna Canepa (noto magistrato) s'è attivata per dare una mano al fratellino Paolo Canepa (ha tolto dalle balle lo 007 del sismi che attenzionava lo studio legale Roppo & Canepa). La Canena, tra l'altro, oltre ad aver fatto un favore al fratellino ne ha fatto uno anche a Giovanni Berneschi. E a se stessa. Non so se è notorio ma Roppo & Canepa son consulenti legali storici di Banca Carige e la magistrata è consorte di Giuseppe Anfossi, azionista di riferimento della stessa Banca Carige (Banca Carige è uno degli istituti di credito attenzionati dall'agente del sismi).
Andrebbe cambiato il noto detto proverbiale in: "Genova patria di scandali e fratellini" ("Genova patria di scandali e bagasce" non è più attuale).
Posta un commento