Alle armi, cittadini...
(di Marcello De Angelis)
Elezioni sì, no, forse. Per noi, è scontato, elezioni subito. Per loro: “finché c’è vita c’è speranza”. Sircana, portavoce del governo uscente, assicura che l’esigenza del centrosinistra di allontanare l’inevitabile ritorno di un governo di centrodestra non ha nulla a che fare con la valanga di nomine di top manager e dirigenti delle aziende pubbliche previste in primavera. Difficile crederlo, perché per Prodi piazzare quelle centinaia di uomini fidati ai vertici dell’amministrazione sarebbe l’ennesimo strumento per tenere in ostaggio l’Italia, anche con un governo a lui estraneo.
I sondaggi non sono uno strumento indispensabile della politica, se non altro per la volatilità dei loro risultati; l’umore del pubblico è condizionato da così tanti e variabili elementi che i sondaggi andrebbero replicati quotidianamente. Cionondimeno la tendenza che tutti registrano, e che permane inesorabilmente, assegna ad una coalizione di centrodestra la certezza di una vittoria elettorale con ampio margine. Chi fa appello ad un governo a tempo sostenendo l’inevitabilità di una riforma elettorale perché le regole vigenti non darebbero garanzie di stabilità, mente. Con questa legge il centrodestra avrebbe una schiacciante maggioranza alla Camera e notevoli margini al Senato. L’ingovernabilità che si paventa, insomma, è che non governerebbero loro. Sui collegi esteri il problema fu la frammentazione del centrodestra in più liste. Basta andare uniti e vinciamo anche lì.
Per ora i problemi veri sono tutti nel centrosinistra. La crisi è stata interna, la coalizione è implosa. E non è neppure vero che l’elemento critico sia stato il solo Mastella. Già da tempo si percepiva che la duplicità tra Prodi e Veltroni sarebbe esplosa in una conflittualità aperta. Come nelle migliori tradizioni bizantine, il conflitto è stato realizzato per interposta persona. Prodi non ha attaccato Veltroni, ma quest’ultimo ha annunciato che il Partito democratico, con lui alla guida, poteva “andare da solo” ed è toccato ai prodiani di sinistra e di centro (da Rifondazione a Di Pietro) rispondere che erano disposti ad andare avanti con Romano, ma non con l’arrogante Walter.
Una nuova legge elettorale serve dunque a rideterminare le regole “interne” del centrosinistra, quello sì ormai ingovernabile con la legge esistente, e ristabilire i rapporti i forza.
Cosa faranno i personaggi e i partiti che hanno tolto il sostegno al governo Prodi in Parlamento? Cosa faranno i seguaci di Dini? Cosa farà Mastella? Una cosa è certa: la strada del ritorno è sbarrata. Una ipotesi di “centralismo” con questa legge elettorale è irrealizabile: o si sta da una parte o dall’altra.
Per ora, a livello locale, le alleanze reggono. Nel Consiglio regionale campano, dove la guerra tra Bassolino e la famiglia Mastella ha avuto inizio, i consiglieri dell’Udeur hanno rinunciato all’occasione di votare la sfiducia al presidente che ha fatto il delatore contro la moglie del loro capo. Hanno lasciato l’aula e mantenuto in vita la giunta. Lo stesso avviene in quasi tutte le amministrazioni locali di centrosinistra, dove mastelliani e diniani siedono ancora fianco a fianco con dipietristi e comunisti. Mantenere in sella le giunte significa, anche per loro, non perdere assessorati e posizioni strategiche che garantiscono rendite di posizione, clientele e consenso; perché privarsene?
Ma se la manovra preservatrice di Napolitano dovesse fallire e si andasse alle urne, anche queste commistioni vacillerebbero. Gli uscenti dell’Udeur, come gli amici di Dini, in caso di elezioni nazionali dovranno posizionarsi, e molto probabilmente sceglieranno la parte che gli offre maggiore accoglienza e con maggiori possibilità di successo. A quel punto non è verosimile che possano mantenersi in piedi le amministrazioni dove queste forze fanno la differenza, il che significherebbe un collasso globale del sistema di governo locale del centrosinistra con commissariamenti in ogni Comune e Provincia ed elezioni anticipate dove sia impossibile commissariare. Lo spettro del voto anticipato grava anche sulle Regioni. In Sicilia, ovviamente, le dimissioni di Cuffaro imporranno di andare alle urne quasi contemporaneamente alle eventuali Politiche, il che rappresenterà un dato molto importante.
Avere chiaro in mente questo scenario aiuterà ognuno a prepararsi per quello che verrà e soprattutto a far comprendere sul proprio territorio, a chi è troppo miope per vederlo, che anche a livello locale le scelte di campo non resteranno improcrastinabili per molto tempo ancora.
Comunque sia, qualunque tentativo facciano i potentati, questa fase è conclusa e qualsiasi soluzione che non siano elezioni immediate non rappresenterà che un prolungamento dell’agonia della nazione senza alcuna possibilità per il centrosinistra di riconquistare consensi. Questa volta, cambiare cavallo in corsa come fecero nel ’96 sacrificando Prodi a favore di D’Alema, non funzionerà. Anche se questi erano i piani, da noi già da tempo svelati, di Veltroni e degli altri ex-Pci.
La campagna elettorale è dunque riaperta e sarà permanente. Nessuno stia con le mani in mano. La “rivoluzione italiana”, che sognammo nel ’94 e che ci è sempre sfuggita di mano, è di nuovo a portata.
E quanto mai necessaria…
I sondaggi non sono uno strumento indispensabile della politica, se non altro per la volatilità dei loro risultati; l’umore del pubblico è condizionato da così tanti e variabili elementi che i sondaggi andrebbero replicati quotidianamente. Cionondimeno la tendenza che tutti registrano, e che permane inesorabilmente, assegna ad una coalizione di centrodestra la certezza di una vittoria elettorale con ampio margine. Chi fa appello ad un governo a tempo sostenendo l’inevitabilità di una riforma elettorale perché le regole vigenti non darebbero garanzie di stabilità, mente. Con questa legge il centrodestra avrebbe una schiacciante maggioranza alla Camera e notevoli margini al Senato. L’ingovernabilità che si paventa, insomma, è che non governerebbero loro. Sui collegi esteri il problema fu la frammentazione del centrodestra in più liste. Basta andare uniti e vinciamo anche lì.
Per ora i problemi veri sono tutti nel centrosinistra. La crisi è stata interna, la coalizione è implosa. E non è neppure vero che l’elemento critico sia stato il solo Mastella. Già da tempo si percepiva che la duplicità tra Prodi e Veltroni sarebbe esplosa in una conflittualità aperta. Come nelle migliori tradizioni bizantine, il conflitto è stato realizzato per interposta persona. Prodi non ha attaccato Veltroni, ma quest’ultimo ha annunciato che il Partito democratico, con lui alla guida, poteva “andare da solo” ed è toccato ai prodiani di sinistra e di centro (da Rifondazione a Di Pietro) rispondere che erano disposti ad andare avanti con Romano, ma non con l’arrogante Walter.
Una nuova legge elettorale serve dunque a rideterminare le regole “interne” del centrosinistra, quello sì ormai ingovernabile con la legge esistente, e ristabilire i rapporti i forza.
Cosa faranno i personaggi e i partiti che hanno tolto il sostegno al governo Prodi in Parlamento? Cosa faranno i seguaci di Dini? Cosa farà Mastella? Una cosa è certa: la strada del ritorno è sbarrata. Una ipotesi di “centralismo” con questa legge elettorale è irrealizabile: o si sta da una parte o dall’altra.
Per ora, a livello locale, le alleanze reggono. Nel Consiglio regionale campano, dove la guerra tra Bassolino e la famiglia Mastella ha avuto inizio, i consiglieri dell’Udeur hanno rinunciato all’occasione di votare la sfiducia al presidente che ha fatto il delatore contro la moglie del loro capo. Hanno lasciato l’aula e mantenuto in vita la giunta. Lo stesso avviene in quasi tutte le amministrazioni locali di centrosinistra, dove mastelliani e diniani siedono ancora fianco a fianco con dipietristi e comunisti. Mantenere in sella le giunte significa, anche per loro, non perdere assessorati e posizioni strategiche che garantiscono rendite di posizione, clientele e consenso; perché privarsene?
Ma se la manovra preservatrice di Napolitano dovesse fallire e si andasse alle urne, anche queste commistioni vacillerebbero. Gli uscenti dell’Udeur, come gli amici di Dini, in caso di elezioni nazionali dovranno posizionarsi, e molto probabilmente sceglieranno la parte che gli offre maggiore accoglienza e con maggiori possibilità di successo. A quel punto non è verosimile che possano mantenersi in piedi le amministrazioni dove queste forze fanno la differenza, il che significherebbe un collasso globale del sistema di governo locale del centrosinistra con commissariamenti in ogni Comune e Provincia ed elezioni anticipate dove sia impossibile commissariare. Lo spettro del voto anticipato grava anche sulle Regioni. In Sicilia, ovviamente, le dimissioni di Cuffaro imporranno di andare alle urne quasi contemporaneamente alle eventuali Politiche, il che rappresenterà un dato molto importante.
Avere chiaro in mente questo scenario aiuterà ognuno a prepararsi per quello che verrà e soprattutto a far comprendere sul proprio territorio, a chi è troppo miope per vederlo, che anche a livello locale le scelte di campo non resteranno improcrastinabili per molto tempo ancora.
Comunque sia, qualunque tentativo facciano i potentati, questa fase è conclusa e qualsiasi soluzione che non siano elezioni immediate non rappresenterà che un prolungamento dell’agonia della nazione senza alcuna possibilità per il centrosinistra di riconquistare consensi. Questa volta, cambiare cavallo in corsa come fecero nel ’96 sacrificando Prodi a favore di D’Alema, non funzionerà. Anche se questi erano i piani, da noi già da tempo svelati, di Veltroni e degli altri ex-Pci.
La campagna elettorale è dunque riaperta e sarà permanente. Nessuno stia con le mani in mano. La “rivoluzione italiana”, che sognammo nel ’94 e che ci è sempre sfuggita di mano, è di nuovo a portata.
E quanto mai necessaria…
FONTE: Rivista Mensile AREA - febbraio 2008
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