La Stampa intervista Gianfranco Fini
di Ugo Magri
28 novembre 2007
Del suo incontro con Veltroni molto si favoleggia. Può dire, presidente Fini, la sintesi qual è?
«Veltroni ha capito benissimo cosa vogliamo noi, e noi abbiamo inteso perfettamente cosa vuole lui. Siamo pronti a dialogare sulle riforme, avendo però ben chiaro che ciò non può significare in alcun modo disponibilità di An a tenere in vita artificiosamente il governo Prodi».
E Veltroni?
«Ha una posizione speculare: anche se il dialogo dovesse culminare in un’intesa, per lui non si dovrebbe comunque tornare a votare… Due posizioni chiare e nette. Tra noi e lui non c’è alcun rischio di inciucio».
Tremonti ha obiettato: come si fa a dialogare la mattina e poi a combattersi il pomeriggio?
«Non può esserci do ut des, una compensazione tra governo e riforme. Però la netta separazione di ruoli non significa che non ci si possa confrontare. Perché perdere l’occasione, se dovesse presentarsi, di approvare quelle riforme che anche noi avevamo proposto e varato sul finire della scorsa legislatura e che la sinistra ha bocciato con il referendum?».
Se l’accordo sulla legge elettorale non venisse trovato, il dialogo si bloccherebbe?
«Assolutamente no. In base a che logica si può essere contrari a una riduzione del numero dei parlamentari? O a rafforzare i poteri del premier? O a sancire la fine del bicameralismo perfetto? Oltretutto, la necessità di confrontarsi viene rafforzata dalla constatazione che non si può pensare di discutere un modello elettorale ignorando il contesto politico e istituzionale in cui agisce la legge elettorale».
A certe condizioni lei potrebbe accettare un meccanismo proporzionale?
«Non ho nulla di pregiudiziale contro una legge proporzionale, già quella vigente che noi votammo è proporzionale. Però attenzione: una legge proporzionale può salvare il bipolarismo o archiviarlo. A me va bene solo se le alleanze si dichiarano prima delle elezioni, non se si fanno o si disfano dopo, nel Parlamento. E va bene se queste alleanze si dichiarano in calce a un programma».
Non è quanto avevate concordato lei, Berlusconi e Bossi nel famoso patto di Gemonio?
«Appunto. Lì si era detto: ognuno si presenti con la propria lista e la propria identità, ma con un vincolo di coalizione e un programma comune. Così si salvaguarda la logica bipolare. Tra l’altro, è già così per Comune, Provincia e Regione. Perché dovrebbe essere diverso per il Parlamento?».
Il «Vassallum» proposto da Veltroni vi va bene?
«Per niente. E’ inaccettabile non solo perché smonta il bipolarismo, ma anche perché è tutto congegnato in modo da rafforzare i due partiti maggiori. Cioè su misura per Veltroni e Berlusconi».
I due si scambiano segnali…
«Se Forza Italia intende affondare il bipolarismo, non dovrò essere io ma sarà dovere di Berlusconi spiegare al popolo del centrodestra perché sceglie la logica delle mani libere. Archiviando il suo vero capolavoro politico, che è il bipolarismo, Berlusconi non si rende conto di archiviare se stesso».
Lui dice basta alleanze, d’ora in poi vuole assorbire tutti nel suo nuovo grande partito…
«Se spera di fare il pieno nel centrodestra, si illude. Per quanto appeal possa avere questo Pdl, è un fuor d’opera pensare che raggiunga da solo la maggioranza».
Come spiega all’elettore moderato che cosa è successo tra voi?
«E’ accaduto che fino al voto sulla Finanziaria avevamo dato carta bianca a Berlusconi in quanto lui aveva sempre garantito: il governo cadrà. Purtroppo, non è caduto. Così dal giorno dopo An si è presa pubblicamente la responsabilità di chiedere un cambio di strategia, anche per mettere a nudo l’esistenza di una maggioranza solo numerica e non politica. Lui ha risposto con un colpo di grande efficacia mediatica dicendo: ecco il nuovo partito, chi vuole entrare entri».
E voi perché non entrate?
«Per un anno intero mi sono sgolato chiedendo di andare verso il partito unitario, figuriamoci se posso contestare l’idea di un forte bipolarismo. Ma non posso accettare che un nuovo soggetto politico nasca come un coniglio dal cappello, una sera a piazza San Babila, senza conoscere nulla del nuovo partito (valori, programmi, regole) se non il nome, e per giunta appreso dalla Tv… Più che dei colpi di teatro, c’è bisogno di una seria discussione all’insegna dell’umiltà, sulle cose buone fatte al governo e sugli errori che tutti abbiamo commesso. Sulle ragioni della sconfitta elettorale e su un programma che tenga conto di tutto quanto (ed è tanto) è successo nel frattempo».
Coglie da parte del Cavaliere segnali di autocritica?
«Autocritica è parola che Berlusconi non conosce. Comunque è positivo che riconosca oggi quanto fino all’altro giorno nemmeno voleva sentire, vale a dire mettiamoci tutti in discussione, facciamo le primarie, determiniamo un meccanismo di scelta dal basso».
La vostra gente domanda se tornerete insieme…
«Il popolo del centrodestra vuole unità. Ma solo il tempo potrà dare una risposta. Perché molto dipende da ciò che farà Berlusconi. Se pensa di intimidire qualcuno, se la sua logica è quella del “dove vanno senza di noi?”, se arriva a dire a me e a Casini “voi tenetevi il progetto, io mi tengo i voti”, allora i primi che non capiranno il Cavaliere saranno proprio gli elettori».
Berlusconi è ancora il leader del centrodestra?
«Nel momento in cui dice in modo autolesionistico “la Cdl non c’è più, era diventata un ectoplasma”, in quel momento non si pone più il problema di chi è il leader della Cdl. Certamente oggi Berlusconi è il leader del suo partito. Punto e basta».
mercoledì 28 novembre 2007
martedì 27 novembre 2007
SICUREZZA: così non va! I fondi sono sempre meno
La legge finanziaria elaborata dal governo di Romano Prodi non migliora la situazione delle risorse per la sicurezza, che appariva già drammatica con il miliardo di euro sottratto al bilancio del Vicinale con la manovra dello scorso anno.
Se per il 2007 è stato un miliardo di euro (con un leggero e insufficiente ripristino di risorse in sede di bilancio assestato), per il 2008 non ci sono 200 milioni di euro in più, bensì 821 milioni di euro in meno. Ciò ha riflessi su voci strategiche, se è vero che i tagli per il contrasto al crimine sono di 150 milioni di euro e segni negativi accompagnano nei prospetti le voci “acquisto di beni e servizi”, “manutenzione immobili e impianti”, “acquisizione di opere di infrastrutture” e così via.
Se per il 2007 è stato un miliardo di euro (con un leggero e insufficiente ripristino di risorse in sede di bilancio assestato), per il 2008 non ci sono 200 milioni di euro in più, bensì 821 milioni di euro in meno. Ciò ha riflessi su voci strategiche, se è vero che i tagli per il contrasto al crimine sono di 150 milioni di euro e segni negativi accompagnano nei prospetti le voci “acquisto di beni e servizi”, “manutenzione immobili e impianti”, “acquisizione di opere di infrastrutture” e così via.
La sicurezza è un bene di tutti, che va oltre le divisioni politiche. Tutte le istituzioni, a partire dal Capo dello Stato, dovrebbero lavorare perché l’extragettito sia adoperato per tornare per la sicurezza ai livelli finanziari del 2006, cioè per ripristinare il bilancio del Vicinale di non meno di 1,5 miliardi di euro.
lunedì 26 novembre 2007
2 dicembre 2006: un anno o un secolo fa? di Annalisa Terranova
Sullo "strappo di Piazza San Babila" di Berlusconi, che ha spiazzato anche molti dei suoi, e sulla nascita del Partito delle Libertà abbiamo fino ad oggi volutamente glissare, in attesa che si schiarisca il cielo nebuloso del centrodestra.
Restiamo ancora fiduciosi che nulla è perso e che alla fine la ragione politica prevalga sul personalismo. Perchè questo è quello che vuole il popolo del centrodestra. Perchè questo è il bene dell'Italia.
Fra i tanti articoli apparsi in questi giorni in tutte le salse, fra gossip e presunti scoop, vi segnaliamo -riportandolo integralmente- l'intervento di Annalisa Terranova sulle colonne del "Secolo d'Italia" lo scorso 20 novembre.
L'articolo, dal suo inconfondibile stile lucido, netto, senza giri di parole, ci è sembrato quello che meglio rappresenta l'attuale panorama politico nazionale, ripercorrendo i principali eventi che hanno caratterizzato gli ultimi mesi dei partiti del centrodestra.
"Dal 2 dicembre 2006 al 2 dicembre 2007: un anno fa si svolse la grande manifestazione unitaria di piazza San Giovanni, oggi la ricorrenza potrebbe invece sancire l’irrimediabile fine del centrodestra, almeno così com’eravamo abituati a immaginarlo. Infatti il Cavaliere ha scelto proprio quella data, il 2 dicembre, per sancire lo scioglimento di Forza Italia e la sua rifondazione con un nuovo nome, Partito delle libertà. Un anno, quello appena trascorso, che doveva veder fiorire la federazione dei partiti della Cdl e che si chiude invece con la solitaria fuga in avanti di Berlusconi in aperta antitesi con gli alleati della Cdl e all’insegna del motto: «Chi mi ama mi segua...». Un anno che si era aperto sull’onda di una speranza collettiva: il popolo del centrodestra era più unito che mai, bastava solo qualche ritocco organizzativo per mettere in forma quella fusione di anime.
Qualcosa però, anzi troppe cose, non sono andate per il verso giusto, evidentemente. Ed è bene ripercorrere le vicende politiche che dalla piazza del 2 dicembre 2006 ci hanno portato fino ad oggi per comprendere dove nasce una lacerazione che non ha mai toccato livelli così profondi e che nulla ha a che fare con i pettegolezzi di “Striscia la notizia”. Solo chi ha memoria molto corta, infatti, o chi è in palese malafede, può attribuire agli attriti delle
ultime settimane il precipitare degli eventi nella Casa delle libertà.
Subito dopo quel grande successo di piazza del 2 dicembre 2006, infatti, la Cdl ha convintamene imboccato la strada della denuncia delle contraddizioni del governo Prodi in politica estera. Una piattaforma dalla quale si defila subito Pier Ferdinando Casini, artefice di un congresso che segna la vittoria della linea del “non moriremo berlusconiani”.
Lo stesso congresso che sancisce invece la netta sconfitta dell’ala capeggiata da Giovanardi, tenace supporter di un Udc mai emancipato dalla tutela di Arcore. In ogni caso Casini teorizza e pratica la politica delle mani libere.
Ma lui a San Giovanni non c’era. Lo smarcamento dell’Udc appare però da subito strategico e non tattico, in ogni caso tale da far ritenere che qualcosa di determinante nella Cdl è cambiato, e che lo schema del 1994 non regge più.
A San Giovanni c’era invece Gianfranco Fini, che proprio Berlusconi nomina, un mese dopo, a gennaio, come probabile successore alla leadership del centrodestra durante la cena di gala dei Telegatti. «Fini è il nome più autorevole...», ammette Berlusconi.
Fa quel nome per bruciarlo? Fa quel nome per dare il via all’investitura?
La sortita in ogni caso fa infuriare la Lega (che sulla Padania decreta il giorno dopo lo stop al dibattito con un titolo inequivocabile, “Facciamola Fini... ta”) e determina uno stop importante a quel cammino verso la federazione del centrodestra alla quale in pochi ormai credono vista la propensione di Berlusconi a risolvere i nodi politici con annunci a “telecamere spiegate” piuttosto che attraverso un dialogo alla pari con i suoi alleati.
Fu proprio Fini, del resto, ad essere infastidito dalle polemiche sulla leadership: «Il problema non si pone, io voglio discutere di politica». In ogni caso tutta An si ritrova su un punto: se partito delle libertà dev’essere, le tappe vanno scandite bene, la partecipazione dal basso dev’essere corale ed effettiva, no a imposizioni dall’alto.
Di politica Fini discute anche con l’avversario Walter Veltroni, in un faccia a faccia organizzato dalla Fondazione Nuova Italia di Gianni Alemanno che fa parlare i commentatori di “bipolarismo cortese”, approdo inevitabile di un decennio di contrapposizioni troppo urlate e spesso non immuni da derive demagogiche. La coppia Fini-Veltroni si trova d’accordo nella netta opzione per «una democrazia bipolare e dell’alternanza».
Chiaramente, Berlusconi non gradisce.
In ogni caso il leader azzurro apre la campagna elettorale per le amministrative a Genova promettendo che la federazione unitaria del centrodestra sarà cosa fatta entro la primavera.
Nei mesi successivi ferve la trattativa sulla legge elettorale, con le bozze Calderoli e Chiti che quasi si sovrappongono fino all’altolà di Amato che rimette tutto in gioco. A quel punto Gianfranco Fini decide di appoggiare senza indugi il referendum elettorale e lancia tutto il partito in una battaglia che sarà coronata da successo e che appare in piena sintonia con il bisogno del Paese di pungolare la “casta”.
All’interventismo di An si contrappone l’immobilismo di Forza Italia, che appare anche fredda rispetto all’ipotesi di una candidatura di Fini a Roma se Veltroni si decidesse a sgomberare il campo per seguire a tempo pieno i destini del Pd.
A giugno è lo stesso leader di An a tirare le somme in un’intervista su Repubblica: «Temo l’immobilismo della Cdl e Berlusconi, da un po’ di tempo, appare meno attivo». Sulle riforme e sulla legge elettorale inutilmente An cerca di convincere FI a scoprire le carte, finché sarà ancora una volta Fini a prendere in mano la situazione presentandosi ai banchetti referendari in un’inedita alleanza con Antonio Di Pietro, Mario Segni e Leoluca Orlando. «Ho chiesto a Berlusconi: se dici no ai referendum a cosa dici sì?». Ma la risposta è, ancora una volta, il silenzio. A quel punto si fa sempre più esigua la schiera di coloro che sono disposti a scommettere sul partito unico del centrodestra.
La discesa in campo di Veltroni determina uno scossone nel quadro politico: prima, tanto An quanto FI avevano parlato di “fusione a freddo” a proposito della nascita del Partito democratico, ma dopo il discorso di Veltroni al Lingotto di Torino le valutazioni si differenziano. Fini chiede alla Cdl di aggiornare il suo lessico politico dinanzi ai cambiamenti che il veltronismo introduce (a cominciare dalla fine della classica dialettica tra destra e sinistra per finire all’urgenza di sintesi nuove per dare risposte all’intero Paese e non solo a una parte di esso), Berlusconi invece insiste nel definire Veltroni un politico vecchio, un abile trasformista che vuole farsi largo tra le macerie del Pci di cui fu dirigente giovanile.
Stagnazione totale sul fronte della federazione del centrodestra. Fini si congeda dalla sua classe dirigente con un’assemblea nazionale in cui, facendo i conti con la scissione storaciana, delinea una strategia di protagonismo per la destra e annuncia una manifestazione a Roma che si concretizzerà il 13 ottobre, con la “marcia” di 500mila persone che dicono no a Prodi e sì alla sicurezza.
Se di strappo si tratta, certo non è paragonabile a quello realizzato dal Cavaliere che deposita da un notaio il simbolo del partito dei circoli delle libertà senza dire nulla a nessuno e cercando di minimizzare l’accaduto con “veline” rassicuranti del suo ufficio stampa. Berlusconi lavora per tutta l’estate al “progetto Brambilla”, immagina di tornare allo spirito del ’94 con i circoli delle libertà di una giovane imprenditrice che appare come un suo “clone”, non si cura delle lagnanze interne (da Tremonti a Brunetta passando per Cicchitto) e non batte ciglio quando su Libero Vittorio Feltri, a settembre, svela il vero intento che sta dietro alle manovre di Forza Italia: fondare un nuovo partito, mettendo gli alleati ribelli dinanzi all’evidenza di fatti già compiuti, scandendo le tappe rapidissime del nuovo soggetto (che di fatto al momento si presenta come un cambio di nome al vecchio partito) in modo da mettere a tacere sul nascere eventuali dissensi interni.
Questi sono i fatti. E sono, come sempre, la migliore risposta a chi si chiede chi e quando ha cominciato a “tradire” le aspettative del popolo del centrodestra che un anno fa aveva con entusiasmo risposto alla convocazione dei suoi leader".
Annalisa Terranova
Secolo d'Italia
20/11/2007
sabato 24 novembre 2007
Bagarre in IV Commissione Consiliare. Marco Di Domenico replica a Maria Saveria Borrelli
Pubblichiamo il comunicato a firma del consigliere comunale Marco Di Domenico, Presidente della IV Commissione Consiliare, sulla bagarre scoppiata durante la seduta di ieri.
"Sulla querelle con il Consigliere di minoranza Maria Saveria Borrelli avverto il dovere di ricondurre la vicenda, agitata strumentalmente dalla moderna sinistra, nell’alveo della verità.
Nella seduta della Commissione da me Presieduta, dopo la discussione del I punto all’o.d.g. sul Bullismo (su cui la stessa Borrelli, pur giunta con ritardo, è diffusamente intervenuta), il sottoscritto poneva in discussione il II punto sulle modifiche da apportare al Piano di Zona alla luce delle prescrizioni fatte pervenire dalla Regione. Passata la parola alla Dirigente dr.ssa Di Ciano per illustrare l’argomento, il Cons. Borrelli, come d’abitudine, non rispettava l’altrui diritto di parola né l’ordine degli interventi, sovrapponendosi e interferendo, di fatto impedendo alla dr.ssa Di Ciano di relazionare.
Nella seduta della Commissione da me Presieduta, dopo la discussione del I punto all’o.d.g. sul Bullismo (su cui la stessa Borrelli, pur giunta con ritardo, è diffusamente intervenuta), il sottoscritto poneva in discussione il II punto sulle modifiche da apportare al Piano di Zona alla luce delle prescrizioni fatte pervenire dalla Regione. Passata la parola alla Dirigente dr.ssa Di Ciano per illustrare l’argomento, il Cons. Borrelli, come d’abitudine, non rispettava l’altrui diritto di parola né l’ordine degli interventi, sovrapponendosi e interferendo, di fatto impedendo alla dr.ssa Di Ciano di relazionare.
Prendeva di mira l’Assessore Angelo Palmieri e portava la discussione fuori argomento, così ripetendo quanto già fatto, chiassosamente, in precedente seduta del Consiglio Comunale.
Tolleravo l’atteggiamento prevaricatorio e provocatorio nella speranza che potesse favorire il ritorno della discussione nell’alveo della regolarità dei lavori ma inutilmente. Intervenivo allora per riportare la discussione sull’o.d.g., precisando che la relazione della Dirigente non poteva essere interrotta (del resto la funzione Istituzionale ricoperta mi obbliga a regolare e dirigere la seduta).
Tolleravo l’atteggiamento prevaricatorio e provocatorio nella speranza che potesse favorire il ritorno della discussione nell’alveo della regolarità dei lavori ma inutilmente. Intervenivo allora per riportare la discussione sull’o.d.g., precisando che la relazione della Dirigente non poteva essere interrotta (del resto la funzione Istituzionale ricoperta mi obbliga a regolare e dirigere la seduta).
In risposta il Cons. Borrelli andava su tutte le furie ed iniziava ad inveire contro di me, con atteggiamenti e frasi minacciose, sbraitando accuse e considerazioni gratuite, provocatorie e senza senso (Tu vai a fare l’avvocato difensore in Tribunale e non qua, io parlo quando voglio, chi ti credi di essere, sei un maleducato, non puoi interrompermi, non puoi impedirmi di parlare, ti denuncio etc.). Le ricordavo le funzioni Istituzionali del Presidente e che non poteva imporre il suo volere a tutti senza regole. La stessa continuava a sovrapporsi e ad urlare ed io, già affetto da una seria afonia, non riuscivo neanche a replicare tanto sbraitava e prevaricava a qualsiasi mio tentativo di placare il suo intervento non autorizzato. Ero così costretto a sospendere la seduta per due volte e su proposta dei Consiglieri decidevo di interromperla, rinviando ad altra data.
Di fatto, quindi, la Cons. Borrelli ha impedito il regolare svolgersi della seduta e mi ha costretto a sospenderla e poi ad interromperla definitivamente.
Questa la realtà!
Ritengo che simili atteggiamenti, peraltro reiterati dalla stessa Cons. Borrelli in più occasioni, nuocciano gravemente alla possibilità del confronto democratico.
La prevaricazione, l’arroganza, la provocazione e le accuse gratuite e isteriche sono appannaggio di un vecchio metodo politico caro alla Sinistra.
La tolleranza, la discussione ed il rispetto delle regole del proprio e dell’altrui diritto di parola sono e restano i soli metodi con i quali sono disposto a confrontarmi, sia in termini personali che per il ruolo che ricopro di Consigliere e di Presidente di Commissione. Se l’aver reagito per arginare e respingere la prevaricazione e la prepotente scorrettezza altrui la si vuol strumentalizzare per censure e critiche politiche ben venga, ma sia chiaro che ogni libertà termina laddove inizia quella altrui e, in qualunque consesso, la discussione deve essere regolata in base a criteri prefissati di democrazia e di buon senso, che non possono dar spazio all’anarchia, alla confusione ed alla pretesa di parlare sempre e a qualsiasi costo.
Se la Cons. Borrelli ambisce a poter regolare dibattiti, confronti, tavole rotonde può certamente organizzarsi all’interno del suo raggruppamento politico o farsi eleggere presidente di qualche Circolo Culturale.
In Commissione Consiliare si attenga al Regolamento e rispetti il ruolo e la funzione del Presidente, chiunque esso sia, non solo perché disciplinato per scritto ma anche dal buon vivere civile.
Io e la mia maggioranza politica saremo sempre pronti al civile e democratico confronto: la Cons. Borrelli è invitata a farlo, in Consiglio e in Commissione".
Di fatto, quindi, la Cons. Borrelli ha impedito il regolare svolgersi della seduta e mi ha costretto a sospenderla e poi ad interromperla definitivamente.
Questa la realtà!
Ritengo che simili atteggiamenti, peraltro reiterati dalla stessa Cons. Borrelli in più occasioni, nuocciano gravemente alla possibilità del confronto democratico.
La prevaricazione, l’arroganza, la provocazione e le accuse gratuite e isteriche sono appannaggio di un vecchio metodo politico caro alla Sinistra.
La tolleranza, la discussione ed il rispetto delle regole del proprio e dell’altrui diritto di parola sono e restano i soli metodi con i quali sono disposto a confrontarmi, sia in termini personali che per il ruolo che ricopro di Consigliere e di Presidente di Commissione. Se l’aver reagito per arginare e respingere la prevaricazione e la prepotente scorrettezza altrui la si vuol strumentalizzare per censure e critiche politiche ben venga, ma sia chiaro che ogni libertà termina laddove inizia quella altrui e, in qualunque consesso, la discussione deve essere regolata in base a criteri prefissati di democrazia e di buon senso, che non possono dar spazio all’anarchia, alla confusione ed alla pretesa di parlare sempre e a qualsiasi costo.
Se la Cons. Borrelli ambisce a poter regolare dibattiti, confronti, tavole rotonde può certamente organizzarsi all’interno del suo raggruppamento politico o farsi eleggere presidente di qualche Circolo Culturale.
In Commissione Consiliare si attenga al Regolamento e rispetti il ruolo e la funzione del Presidente, chiunque esso sia, non solo perché disciplinato per scritto ma anche dal buon vivere civile.
Io e la mia maggioranza politica saremo sempre pronti al civile e democratico confronto: la Cons. Borrelli è invitata a farlo, in Consiglio e in Commissione".
Marco DI DOMENICO
NOSTRO COMMENTO:
Se questo è il centrosinistra che pretende di contribuire allo sviluppo della città, se questi sono i suoi migliori rappresentanti che avrebbero governato la città in caso di vittoria, se questa è l'opposizione che sono in grado di fare, ogni volta attaccandosi a futili pretesti per creare dei "casi" dal nulla, allora è tutto dire...
Lanciano è e sarà sempre governata dal centrodestra!
L'arroganza e la saccenza, a noi nota, di certi esponenti del centrosinistra locale rendono pressochè impossibile qualsiasi tentativo di dialogo.
venerdì 23 novembre 2007
Castiglione (AN) attacca Del Turco. "L'Abruzzo è corrotto? Vada dal magistrato a denunciare episodi concreti"
da: http://ufficiostampagruppoan.blogspot.com/
Castiglione (AN) attacca Del Turco. "L'Abruzzo è corrotto? Vada dal magistrato a denunciare episodi concreti o taccia. Sul fango non si costruisce un Abruzzo migliore. Per farlo ha gli strumenti istituzionali, è il presidente della Regione, si decida a usarli".
La politica abruzzese si caratterizza per "mance e corruzione"? "Appalto, ergo sum" è il motto di alcuni partiti politici? Se Del Turco è a conoscenza di episodi di corruzione o di appalti truccati vada dal magistrato e li denunci senza esitazione, altrimenti taccia e si faccia un esame di coscienza.
Non è gettando fango indistintamente sulla classe politica regionale, di cui lui è - anche se fa finta di dimenticarlo - la massima espressione istituzionale, che si rende un servizio alla nostra regione. Sul fango non si costruisce, nel fango si affonda.
Del Turco aveva ed ha gli strumenti necessari per cambiare in meglio la politica abruzzese, non è un politico di opposizione. Alla politica dei proclami e agli show grilleschi faccia seguire i fatti, è un presidente di Regione, non un comico, se lo ricordi. Aveva annunciato un'iniziativa rivoluzionaria per tagliare i costi della politica. Dopo l'eliminazione di qualche piccola sottocommissione si è fermato - l'elefante ha partorito il topolino - da allora non si hanno notizie di altri tagli significativi, anzi: la sua giunta continua a spendere e spandere contributi a pioggia sul suo collegio elettorale e su quelli dei suoi assessori. Sulla sanità ha raddoppiato il debito trascinando in Abruzzo manager marchigiani legati alla sua parrocchia politica, altro che rinnovamento.
Del Turco cerca di cavalcare l'antipolitica ma in Abruzzo lui è la politica e se non è in grado di fare nulla ed è sotto lo schiaffo di una maggioranza pasticciona e litigiosa non può prendersela con altri che con se stesso. Solo ora si è accorto che c'è un "potente partito dell'acqua" che tiene sotto scacco l'Abruzzo? Noi lo diciamo da due anni e mezzo ma evidentemente lui era troppo distratto da questioni più importanti, appagare il proprio narcisismo, una patologia che implode ogni volta che gli viene offerta una vetrina. Ieri è stata la volta della Convention delle imprese, domani chissà dove andrà ad attaccare la politica, ovvero se stesso.
Alfredo Castiglione
Del Turco:«Non lasciatemi solo contro la politica delle mance e corruzione»
da www.primadanoi.it
ABRUZZO. Questione morale, acqua e sanità sono stati i temi affrontati dal presidente della Giunta regionale, Ottaviano Del Turco, intervenuto alla prima convention delle imprese, promosso da Confindustria Abruzzo, in corso di svolgimento a Montesilvano.Il Presidente, che ha puntualizzato di non trovarsi in una condizione di «campagna elettorale, non mi ricandiderò tra due anni», ha chiamato ad un patto di «mutua assistenza e previdenza» le imprese e i sindacati. «Non dovete lasciare il Presidente solo a lottare contro coloro che non vogliono il cambiamento».
Del Turco ha portato gli esempi dell'acqua e della sanità per censurare la «politica delle mance e della corruzione». «Pensate - ha ripreso Del Turco - la regione che ha la migliore e la più alta quantità di acqua ha conosciuto una emergenza idrica perchè abbiamo un sistema di gestione che presenta problemi di vario ordine e di varia natura. Ha perfino prodotto un potente partito».Per il Presidente andrebbero contestualizzate in questo clima le «aspre critiche alla legge di riforma».
Del Turco, che ha dichiarato di «meravigliarsi perchè la parola corruzione sia scomparsa dal linguaggio in questa regione», ha osservato più di un parallelismo con un «contesto che ha spazzato via interi partiti. Appalto ergo sum non è il mio motto. Ho visto partiti morire di appalti», ha detto.
Il Presidente ha quindi dichiarato di «confidare nella capacità delle imprese di capire il valore di una scelta politica che vuole combattere la politica delle mance e la corruzione».Anche lo «scandaloso debito sanitario» è stato ricordato da Del Turco come esempio di «cattiva amministrazione».«Gli abruzzesi - ha insistito - lo hanno capito un mese e mezzo fa, quando abbiamo evitato il commissariamento, grazie alla nostra politica di rigore. Se viene sconfitto questo cambiamento invece che il partito dell'acqua - ha ammonito il Presidente - è una perdita per tutti».
mercoledì 21 novembre 2007
AN in maggioranza? I politici del centrodestra frentano rispondono.
Alleanza Nazionale in maggioranza
Vi presentiamo, senza nessuna reticenza, le opinioni di alcuni esponenti politici locali intervistati da CameraMobile (per avviare i video, basta cliccare sui relativi nomi).
Pubblicheremo di volta in volta altre interviste sullo stesso argomento.
Fonte: www.cameramobile.it
lunedì 19 novembre 2007
BANCA MIA FATTI CAPANNA
BANCA MIA FATTI CAPANNA
di Eugenio Benetazzo
di Eugenio Benetazzo
Ma cosa è successo al panorama bancario italiano ? Come siamo arrivati noi italiani ad avere un pool di istituti di credito, probabilmente i peggiori al mondo, che si contendono ogni giorno il raggiungimento di posizioni dominanti nel mercato ? Cosa è successo in meno di vent’anni da infrangere per sempre il rapporto fiduciario tra banca e cliente tanto che oggi il piccolo risparmiatore italiano non si fida più di nessuno ? Che cosa ha trasformato le banche nel tuo peggior nemico ?
Per spiegare quello che è successo dobbiamo tornare indietro di oltre quindici anni quando il panorama bancario italiano era costituito da una distesa prateria di piccoli istituti di credito con spiccata vocazione territoriale, nella quale spadroneggiavano anche tre colossi nazionali, la Banca Nazionale del Lavoro, il Credito Italiano e la Banca Commerciale Italiana, tre banche storiche di diritto pubblico che erano presenti per prestigio e diffusione capillare su quasi tutte le piazze provinciali del paese con le loro mastodontiche agenzie di sportello.
Ricordo ancora il mio primo libretto di risparmio aperto in prima media presso la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona, successivamente trasformatasi in Cariverona e poi tristemente fagocitata nel gruppo bancario denominato Unicredito. In quel tempo non esisteva l’esigenza viscerale di competere tra banche e banche, in quanto ogni istituto aveva trovato una propria dimensione e sviluppo legato alle caratteristiche del territorio ed a una propria vocazione imprenditoriale. Gli sportelli di banche differenti presenti su una stessa piazza si facevano concorrenza sulle modalità di erogazione del servizio e sul rapporto umano che si instaurava con il personale che vi lavorava.
Vent’anni fa sarebbe stato impossibile che un direttore di banca vi proponesse di investire su un’obbligazione strutturata emessa da chi sa chi e per Dio sa cosa: i prodotti di risparmio tipici proposti erano i titoli di stato, i pronti contro termine, i certificati di deposito oppure le obbligazioni emesse dalla stessa banca: prodotti a capitale protetto e rendimento garantito.
I correntisti ed i risparmiatori erano trattati allora come persone con specifiche esigenze sociali ed imprenditoriali, e non come avviene ora alla pari di insignificanti numeri di conto corrente a cui addebitare costi ed oneri di fantasia congiuntamente all’offerta di una copiosa varietà di prodotti porcheria.
Come siamo arrivati, allora, all’attuale situazione di mercato ? La risposta è piuttosto semplice: ottimizzazione dei costi e massimizzazione dei profitti. Le tanto osannate dottrine sui processi di arricchimento facilitato che si insegnano in quelle fabbriche di replicanti clonati, che vengono definite business schools, hanno trovato prima applicazione proprio nel mondo bancario. Fu così che alcune banche comprendendo la possibilità di competere sui mercati internazionali in vista della definizione di un grande mercato unico europeo iniziarono ad unire le forze nelle maniere più subdole: fondendosi, fagocitandosi o incorporandosi.
Questo processo portava ad aumentare spaventosamente la loro redditività in quanto se gli attivi dei patrimoni venivano sommati, lo stesso non avveniva per i costi, i quali subivano invece un consistente ridimensionamento (chiusura di filiali doppie sulla stessa piazza e licenziamento del personale in esubero).
Lentamente negli anni hanno preso forma i gruppi bancari che conosciamo tutti ed allo stesso tempo si sono verificati i grandi scandali finanziari che hanno depauperato intere generazioni di risparmiatori italiani. Anche questo è stato dovuto alla trasformazione del sistema bancario italiano, il quale ha iniziato a fare i conti con la prima legge del mercato dei capitali ovvero il rendimento in termini percentuali tra il dividendo erogato ed il prezzo di una singola azione.
La necessità di conseguire utili e rendimenti sempre più crescenti ha spinto i banchieri ad individuare nuove aree di profitto senza compromettere o aumentare l’esposizione al rischio della banca: per quanto motivo sono proliferate commissioni, oneri e costi per servizi di base (che in molti paesi sono completamente gratuiti).
Parallelamente si è sviluppato anche uno straordinario mercato di prodotti porcheria per la gestione del risparmio, infatti questi gruppi bancari si sono resi conto che è molto più conveniente per i loro bilanci e per il loro profitto, gestire i vostri risparmi applicandovi oneri e commissioni senza così esporre la banca in alcun modo al rischio imprenditoriale.
Il marcio del sistema ha trovato la sua massima manifestazione quando i grandi gruppi bancari hanno individuato nell’utilizzo del budget, lo strumento di eccellenza per la propria pianificazione aziendale. Con il budget, infatti, si stabiliscono a priori i risultati che il gruppo bancario deve conseguire per massimizzare il suo profitto e a questo dictat si devono prostrare tutti i dipendenti della banca, dai funzionari ai cassieri.
Non cè da stupirsi quindoi se esistono banche che concedono in comodato gratuito una Ferrari per una settimana come bonus o incentive per il raggiungimento del budget ad un direttore di filiale, se questo è riuscito a far erogare un determinato numero di mutui ipotecari ad intervento integrale (quindi 100 %) a condizioni proibitive (mi piacerebbe potervi fare i nomi e cognomi) !
Non mi dilungo sul personale di sportello, soggetto ad un tasso di turnover improponibile (ogni mese avete un referente diverso), nella maggior parte dei casi, vi trovate di fronte a persone frustrate, impantanate in un lavoro che non ha futuro, destinate per anni a contare il denaro e gli assegni, oppure a passare carte su carte tra lo sportello e la direzione amministrativa. Ecco il motivo per cui non vi dovete fidare di quello che vi propongono: perché quello che vi viene presentato, deve prima portare ricchezza alla stessa banca.
Questa trasformazione del sistema bancario ha tuttavia prodotto o indirettamente causato anche un effetto collaterale, che forse non si era opportunamente valutato: per la prima volta si è venuto ad infrangere il rapporto fiduciario che si riponeva nelle banche o nelle persone che vi lavorano, dubitando profondamente su tutto quello che viene raccontato od offerto allo sportello. Non a caso sono ripresi con grande frequenza e dimensione fenomeni di espatrio di capitali (a volte anche con modalità illegali) nei confronti di centri finanziari ritenuti storicamente più seri ed affidabili.
Comunque questo paese e la sua inerte classe politica lasciano veramente poco a che pensare, ma ancor di più la sua popolazione: se gli toccate la squadra di calcio allora preparatevi a vedere scali e porti marittimi bloccati da orde di tifosi che barricano gli accessi, mentre se qualcuno (coperto dalla compiacenza politica di chi ci governa) vi sottrae illegalmente 50 euro dal vostro conto corrente, vi limitate semplicemente a lamentarvi stile bambino dell’asilio a cui hanno rubato la merendina. Chi è causa del suo male, pianga se stesso.
Per spiegare quello che è successo dobbiamo tornare indietro di oltre quindici anni quando il panorama bancario italiano era costituito da una distesa prateria di piccoli istituti di credito con spiccata vocazione territoriale, nella quale spadroneggiavano anche tre colossi nazionali, la Banca Nazionale del Lavoro, il Credito Italiano e la Banca Commerciale Italiana, tre banche storiche di diritto pubblico che erano presenti per prestigio e diffusione capillare su quasi tutte le piazze provinciali del paese con le loro mastodontiche agenzie di sportello.
Ricordo ancora il mio primo libretto di risparmio aperto in prima media presso la Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona, successivamente trasformatasi in Cariverona e poi tristemente fagocitata nel gruppo bancario denominato Unicredito. In quel tempo non esisteva l’esigenza viscerale di competere tra banche e banche, in quanto ogni istituto aveva trovato una propria dimensione e sviluppo legato alle caratteristiche del territorio ed a una propria vocazione imprenditoriale. Gli sportelli di banche differenti presenti su una stessa piazza si facevano concorrenza sulle modalità di erogazione del servizio e sul rapporto umano che si instaurava con il personale che vi lavorava.
Vent’anni fa sarebbe stato impossibile che un direttore di banca vi proponesse di investire su un’obbligazione strutturata emessa da chi sa chi e per Dio sa cosa: i prodotti di risparmio tipici proposti erano i titoli di stato, i pronti contro termine, i certificati di deposito oppure le obbligazioni emesse dalla stessa banca: prodotti a capitale protetto e rendimento garantito.
I correntisti ed i risparmiatori erano trattati allora come persone con specifiche esigenze sociali ed imprenditoriali, e non come avviene ora alla pari di insignificanti numeri di conto corrente a cui addebitare costi ed oneri di fantasia congiuntamente all’offerta di una copiosa varietà di prodotti porcheria.
Come siamo arrivati, allora, all’attuale situazione di mercato ? La risposta è piuttosto semplice: ottimizzazione dei costi e massimizzazione dei profitti. Le tanto osannate dottrine sui processi di arricchimento facilitato che si insegnano in quelle fabbriche di replicanti clonati, che vengono definite business schools, hanno trovato prima applicazione proprio nel mondo bancario. Fu così che alcune banche comprendendo la possibilità di competere sui mercati internazionali in vista della definizione di un grande mercato unico europeo iniziarono ad unire le forze nelle maniere più subdole: fondendosi, fagocitandosi o incorporandosi.
Questo processo portava ad aumentare spaventosamente la loro redditività in quanto se gli attivi dei patrimoni venivano sommati, lo stesso non avveniva per i costi, i quali subivano invece un consistente ridimensionamento (chiusura di filiali doppie sulla stessa piazza e licenziamento del personale in esubero).
Lentamente negli anni hanno preso forma i gruppi bancari che conosciamo tutti ed allo stesso tempo si sono verificati i grandi scandali finanziari che hanno depauperato intere generazioni di risparmiatori italiani. Anche questo è stato dovuto alla trasformazione del sistema bancario italiano, il quale ha iniziato a fare i conti con la prima legge del mercato dei capitali ovvero il rendimento in termini percentuali tra il dividendo erogato ed il prezzo di una singola azione.
La necessità di conseguire utili e rendimenti sempre più crescenti ha spinto i banchieri ad individuare nuove aree di profitto senza compromettere o aumentare l’esposizione al rischio della banca: per quanto motivo sono proliferate commissioni, oneri e costi per servizi di base (che in molti paesi sono completamente gratuiti).
Parallelamente si è sviluppato anche uno straordinario mercato di prodotti porcheria per la gestione del risparmio, infatti questi gruppi bancari si sono resi conto che è molto più conveniente per i loro bilanci e per il loro profitto, gestire i vostri risparmi applicandovi oneri e commissioni senza così esporre la banca in alcun modo al rischio imprenditoriale.
Il marcio del sistema ha trovato la sua massima manifestazione quando i grandi gruppi bancari hanno individuato nell’utilizzo del budget, lo strumento di eccellenza per la propria pianificazione aziendale. Con il budget, infatti, si stabiliscono a priori i risultati che il gruppo bancario deve conseguire per massimizzare il suo profitto e a questo dictat si devono prostrare tutti i dipendenti della banca, dai funzionari ai cassieri.
Non cè da stupirsi quindoi se esistono banche che concedono in comodato gratuito una Ferrari per una settimana come bonus o incentive per il raggiungimento del budget ad un direttore di filiale, se questo è riuscito a far erogare un determinato numero di mutui ipotecari ad intervento integrale (quindi 100 %) a condizioni proibitive (mi piacerebbe potervi fare i nomi e cognomi) !
Non mi dilungo sul personale di sportello, soggetto ad un tasso di turnover improponibile (ogni mese avete un referente diverso), nella maggior parte dei casi, vi trovate di fronte a persone frustrate, impantanate in un lavoro che non ha futuro, destinate per anni a contare il denaro e gli assegni, oppure a passare carte su carte tra lo sportello e la direzione amministrativa. Ecco il motivo per cui non vi dovete fidare di quello che vi propongono: perché quello che vi viene presentato, deve prima portare ricchezza alla stessa banca.
Questa trasformazione del sistema bancario ha tuttavia prodotto o indirettamente causato anche un effetto collaterale, che forse non si era opportunamente valutato: per la prima volta si è venuto ad infrangere il rapporto fiduciario che si riponeva nelle banche o nelle persone che vi lavorano, dubitando profondamente su tutto quello che viene raccontato od offerto allo sportello. Non a caso sono ripresi con grande frequenza e dimensione fenomeni di espatrio di capitali (a volte anche con modalità illegali) nei confronti di centri finanziari ritenuti storicamente più seri ed affidabili.
Comunque questo paese e la sua inerte classe politica lasciano veramente poco a che pensare, ma ancor di più la sua popolazione: se gli toccate la squadra di calcio allora preparatevi a vedere scali e porti marittimi bloccati da orde di tifosi che barricano gli accessi, mentre se qualcuno (coperto dalla compiacenza politica di chi ci governa) vi sottrae illegalmente 50 euro dal vostro conto corrente, vi limitate semplicemente a lamentarvi stile bambino dell’asilio a cui hanno rubato la merendina. Chi è causa del suo male, pianga se stesso.
Fonti:
domenica 18 novembre 2007
Ciao Gabriele...
In ricordo di Gabriele Sandri a una settimana dalla sua morte.
Contro una follia che non appartiene al calcio e a coloro che questo sport lo amano davvero. Contro chi tenta di "coprire" un folle gesto che ha ucciso una vita, parlando di violenza negli stadi, anche se in quel momento non c'entrava nulla. Contro chi si professa tifoso e mette a ferro e fuoco una città. Contro un ministro dell'Interno che senza pudore ammette di aver scoperto la tragedia dopo 4 ore di allarmismo. Contro chi antepone gli interessi economici di uno sport diventato business all'incolumità generale e non ha il coraggio di fermare un campionato anche solo per avere il tempo di interrogarsi su una tragedia inspiegabile.
Tutto questo è pazzia.
Vogliamo un calcio pulito, rivogliamo quei valori sportivi sani sui quali si fonda, senza corruzione, doping, violenza e speculazioni. Lo vogliamo per Gabriele Sandri, per Filippo Raciti e per tutti quei giovani e giovanissimi che stanno crescendo e ai quali dobbiamo far amare e vivere col cuore uno degli sport più belli e più seguiti nel mondo.
Un’altra vergogna per Genova. Io c’ero
La calata dei barbari: no-global, disubbidienti, i centri sociali di Caruso e company, hanno invaso Genova nuovamente. E per quale motivo questa manifestazione di “reietti” della società? Per protestare contro le condanne di 25 manifestanti del G8 del 2001 e che ora rischiano una condanna sino a 16 di carcere. Troppo poco e troppo pochi gli arrestati.Io ricordo benissimo ciò che successe, veramente, a Genova per il G8 del 2001, perché C’ERO, dovendo fare un servizio per un quotidiano. Quello che ho visto non lo potrò mai dimenticare: terrore, orda di persone con passamontagna che brandivano bastoni e oggetti contundenti di ogni genere che si scagliavano contro i poliziotti con ferocia inaudita, parevano delle belve. Ero con un gruppo di colleghi ed uno ci spinse in un portone di un condominio, per fortuna aperto, per non fare una brutta fine. Quando i vigliacchi vedono giornalisti e fotografi ti assalgono e spaccano le macchine fotografiche per non far vedere quello che stanno facendo. Essere riconosciuti era impossibile, dato che potevi vedere solo i loro occhi. Ad un certo punto vedemmo arrivare dei giovani poliziotti e carabinieri che si misero in attesa dell’arrivo delle bande criminali, evidentemente avvisati via cellulare, ed ecco arrivare alle loro spalle i teppisti, senza che loro se ne accorgessero. Io, incosciente come mio solito, cercai di aprire il portone socchiuso per avvisare la polizia ma fui subito ripresa per timore che ci vedessero. E così i poliziotti furono presi alle spalle ed incominciò una lotta cruenta fra la polizia che cercava di difendersi e i criminali che li assalirono con ferocia e quanto sangue ho visto sgorgare dalle ferite inferte con catenacci, coltelli, bastoni, avevano di tutto per colpire ed uccidere. Non ero dalla parte ove fu ucciso Giuliani, però ho visto benissimo alla TV e da privati che hanno ripreso l’agguato vergognoso di quel teppista di Giuliani. La madre, a caldo, disse che suo figlio non viveva più in casa e che se lo sarebbe aspettato che finisse male. Poi, quando capì che poteva trarre profitto da quella situazione, fece la madre piangente ed ora è senatrice, con lauto stipendio. Ha avuto il coraggio, durante la manifestazione di oggi, di dire che” i poliziotti vanno fermati, non è possibile dare una pistola in mano a delle persone senza prima formarle, perché la formazione è democrazia”. Ma si muore anche di lancio di estintore su una persona chiusa in macchina perché assalita ed impotente a muoversi.La manifestazione, non è finita in tragedia come l’altra volta. Però tutti i negozi chiusi e i genovesi barricati in casa. Solo qualche tentativo di spaccare e lancio di fumogeni, ma la polizia non è mai dovuta intervenire. In compenso si sono visti striscioni demenziali: “ La storia siamo noi”. Che Dio ci scampi da simile orrore. La nostra Patria ha una storia di eroi, di veri uomini che hanno dato la loro vita per un ideale. Loro possono solo passare come la peggiore gioventù di questo secolo, la vergogna di una nazione. Non credo che figureranno nei testi scolastici, sempre che…non rimanga un governo sinistroide e comunista. In Tv si è visto intervistare Don Gallo e non ho parole da descrivere ciò che ha detto e come era conciato, come un macrò. Mi spiace, proprio io cattolica praticante, esprimere un’opinione su un prete, ma di prete non ha più nulla e mi stupisco che il Vaticano non intervenga ad espellerlo. Di Sansonetti si può solo dire che ha parlato da vero comunista staliniano. Per finire vi erano i soliti studenti cretinetti e voglia di non studiare che portavano in trionfo un bello striscione con la scritta:” Più conoscenza, meno obbedienza”. Ma che vogliono conoscere, forse come dare due schiaffi al professore come è successo ieri? Saranno sempre dei falliti!Riepilogando: spero che quei teppisti del G8 si facciano i loro 16 anni di carcere, ma facendoli lavorare per pagare tutti i danni che hanno provocato ai negozianti e agli automobilisti che si sono trovati senza più auto. Dimenticavo: Caruso, il napoletano, si è lamentato che il treno era privo di riscaldamento e di acqua, indi vuole fare causa alla ferrovia. Agnoletto ha detto le sue solite baggianate che non meritano riscontro, si deve compatire. Si presumeva arrivassero gli ultras. Non sono venuti. Loro se ne fregano del G8, preferiscono una battaglia in uno stadio!
ERCOLINA MILANESI
Fonte: www.ladestra.info
venerdì 16 novembre 2007
Manifestazione dei metalmeccanici a Lanciano. Caos in città...
Si è appena conclusa la manifestazione regionale dei metalmeccanici a Lanciano nell’ambito dello sciopero nazionale di 8 ore indetto da Fiom, Fim e Uilm per il rinnovo contrattuale.
Non siamo qui a sindacare sulle ragioni della protesta organizzata e civile, di fronte ad un Governo nazionale criticato dai suoi stessi sostenitori e che, quindi, non gode nemmeno della stima di chi lo ha votato…
Non siamo qui a sindacare sulle ragioni della protesta organizzata e civile, di fronte ad un Governo nazionale criticato dai suoi stessi sostenitori e che, quindi, non gode nemmeno della stima di chi lo ha votato…
Ma il punto che poniamo in evidenza adesso è tutt’altro: questa mattina, anche a causa del maltempo, la nostra città era praticamente paralizzata.
Chi ha avuto la sfortuna di imbattersi per le vie del centro, si è trovato di fronte ad una situazione critica, paradossale, degna delle più grandi metropoli italiane.
Ma come si fa ad autorizzare un simile percorso che blocca praticamente un’intera città, nella quale quotidianamente sono migliaia le persone che vengono da fuori per servizi, lavoro o scuola??
Le strade coinvolte erano praticamente le più importanti: Viale Sant’Antonio, Viale Rimembranze, Viale delle Rose, Corso Trento e Trieste con divieti su Via Duca degli Abruzzi, Via Battisti ed altre importanti vie cittadine.
La nostra città purtroppo non è attrezzata adeguatamente per ospitare manifestazioni di questo tipo in pieno centro ed oggi ne abbiamo avuto la conferma: traffico in tilt già alle porte della città.
Di chiunque sia la responsabilità, questa mattina la gestione della viabilità è stata critica e certamente non è stato reso un servizio all’altezza della situazione nei confronti di quei tantissimi cittadini che erano in auto per motivi diversi dalla manifestazione e che sono rimasti imbottigliati nel caos per una pessima gestione del traffico.
martedì 13 novembre 2007
Gli amici di Beppe Grillo si scannano e aspirano ad entrare in Comune
PESCARA. Il web che si ribella ad una "creatura" creata dal web. Un esempio di politica innovativa, partecipata e trasparente che rischia di naufragare miseramente e trascinarsi dietro morti e feriti.
Sembra di vedere un pò quei film-parodia, stile Balle spaziali (che fa il verso a Guerre Stellari), dove si scimmiotta il film principale. Il risultato è demenziale e a tratti deprimente.Questa è la nuova frontiera della politica, quella ancora tutta da esplorare ma che sta già dando qualche segnale di cedimento, prima ancora di essere mandata in onda.Tutto è nato dal blog di Beppe Grillo, ormai un paio di anni fa. Si è creato un vero e proprio movimento di opinione, sono nati i Meet Up in ogni regione: luoghi dove discutere e condividere le idee del "capo"(non senza litigare o alzare la voce), quel Grillo che è sempre più parlante.
Quel Grillo che l'8 settembre ha trascinato in piazza al suon di Vaffa lo zoccolo duro dell'antipolitica: i cittadini. Quelli stufi dei giochi di potere, quelli insofferenti agli amministratori abbarbicati sulle poltrone e lontani anni luce dai problemi comuni e dal confronto.Ci siamo, hanno pensato.I cittadini sono pronti. A Pescara il movimento d'opinione ha preso forma ed è diventa (quasi) lista civica. L'idea è quella di candidarsi alle prossime politiche e sfruttare l'insofferenza generale. Ed è proprio in questo momento che qualcosa non sta funzionando perché, inevitabile, è arrivata la frattura tra gli "adepti".
Una frattura che scimmiotta un pò le grosse crisi all'interno dei classici partiti più o meno consolidati. Con tanto di accuse, scenate, cumuli di cariche e dimissioni che stentano ad arrivare (ovviamente tutto in una micro dimensione e per questo ancora più ridicolo). Una frattura che fa salire a galla tutta l'impossibilità di autogestirsi o di rispecchiarsi nella figura apicale.In questo casa al vertice c'è Stefano Murgo (in foto) e il Meet up oggi si ribella a Murgo stesso.
Tutti giurano che l'organizer, nonché portavoce, nonché aspirante sindaco, nonché uomo-anello con Grillo, si sia autoproclamato da solo e oggi non abbia nessuna intenzione di lasciare il “trono”. Tanto che è nato un Meet Up Pescara 2, perché si è fatto prima a ricreare una realtà parallela piuttosto che destituire il sovrano.Intanto Murgo parla alla stampa a nome di tutti, convoca le riunioni, gestisce e paga il forum, (cancellando i commenti indesiderati, alla faccia del libero confronto) ha contatti diretti con lo staff nazionale.E decide di creare una lista civica: la spinge, la pompa, la presenta ai giornali dove però non parla mai della frattura interna e non dice mai che una fetta del Meet Up stesso non si riconosce più in lui, parrebbe la maggioranza. E intanto la sua sconfessione arriva anche da fuori regione.E' sui forum e nei siti, proprio dove negli anni è cresciuto il confronto, adesso si sta cercando di demolire tutto. E se non tutto, almeno il sovrano.
LA SCISSIONE INTERNA
Risalire ai motivi della scissione pescarese è quasi impossibile: il Meet Up Pescara 1 ha la sua teoria, il Meet Up Pescara 2 un'altra. E in un calderone dove è impresa off limits rintracciare le reali cause è però evidente che i cittadini non sono ancora pronti a gestire una macchina così grande.Quello che ha indispettito gli scissionisti è stata la mancanza di applicazioni delle regole grilliane nel gruppo.Prima tra tutte la tanto sbandierata partecipazione: «in un incontro con il Meet up dello scorso luglio», scrive Maria Gazia Di Paolo nel forum, «io porto con me una persona che vorrebbe candidarsi e voleva sapere qualcosa in più prima di farsi mettere nella lista. Solo verso la fine dell'incontro appresi, con mio grande stupore e anche un po' d'imbarazzo verso la persona che accompagnavo, che il capolista sarebbe stato lo stesso organizer del Meet up di Pescara (ovvero Murgo, ndr). Questo significa che indipendentemente dalla partecipazione attiva degli aderenti lui sarebbe stato il candidato sindaco».E la partecipazione che fine ha fatto? Il popolo sovrano? I cittadini?Il ruolo del politico come dipendente che fa quello che decide il popolo-datore di lavoro? Tutte chiacchiere. Se ci avevate creduto, dovete tornare indietro passando dal via.Ma le critiche non finiscono qui e in quella che può definirsi una vera e propria operazione trasparenza (parola tanto cara ai grillini) vengono messe sul tavolo tutte le contestazioni che nella pratica, almeno a Pescara, non funzionano. «L'organizzatore di una lista trasparente e partecipativa è anti democratico in quanto si è proclamato capo lista e candidato sindaco da solo, anti etico perchè utilizza un logo e una dicitura per lasciar pensare che dietro questa lista civica ci sia la persona di Beppe Grillo e scorretto in quanto fa pubblicità ad una sua attività sul profilo meet up. E'dittatoriale», continua la serie di critiche, «e nel forum viene specificato che "Il controllo e la supervisione in merito al rispetto delle suddette regole è demandato all'Organizer ed agli Assistant Organizer"», ovvero tutto quello che non va bene (secondo quale criterio?) Murgo cancella.E la libertà di parola e di opinione tanto sbandierata da papà Grillo che a cadenza semestrale pubblica nel suo blog la classifica dei paesi più inclini alla censura? Anche quella, nella pratica, non funziona.Su, tornate al punto di partenza e fermatevi un turno in prigione.
ANCHE FUORI PESCARA LA LISTA NON PIACE
La nascita della prima lista civica a Pescara non si sta facendo una buona reputazione nemmeno nel resto d'Italia. «Io e il gruppo di Firenze», scrive Ti- Jean nel Meet Up toscano rivolgendosi a Murgo, «organizzeremo dei percorsi di due mesi di assemblee e inviteremo la gente i cittadini, i politici e professori per discutere e capire cosa fare e se la lista civica può nascere. Cioè partecipazione e poi azione. Tu hai fatto un percorso diverso, hai voluto creare una lista civica, un marchio, un logo, identificarti come ideatore e promotore, calando dall'alto un bicchiere d'acqua alla folla assetata nel deserto politico di Pescara».«Il Murgo», criticano ancora on line, «sta pianificando azioni chirurgiche nell' inviare email a tutti lo scibile dell'informazione sul web, crede di scavalcare tutti i membri, facendosi conoscere a livello nazionale. Ormai è passato dalla parte di quelli che combattiamo e ci danno la nausea».E quale sarà il futuro dell'operazione politica pescarese in Toscana già lo prevedono: «ti sgonfierai da solo, perchè stai usando lo stesso vecchio sistema. Hai fatto un partito politico. Lo hai deciso e offerto agli altri. Se vi va bene votatemi!».
CUMULI DI CARICHE E DIMISSIONI
I cumuli di cariche sono un must della politica italiana. Senza due, tre incarichi un politico non ha credibilità. Non è nessuno. Scendiamo nel microcosmo pescarese, zoomiamo sul Meet Up namberuan e si scopre che anche qui ci sono dimissioni invocate (bersaglio sempre Murgo) per presunti cumuli di cariche (ma come? Proprio lui che parla parla… ).«Dimettiti», chiedono nel forum di Pescara, «da qualsiasi carica rappresentativa di questo portale e contemporaneamente da Organizer del gruppo 280 (che rappresenta l'anello di dialogo con il mondo Meet up)».Le dimissioni non sono arrivate (nella politica arrivano?), ma Murgo ha aperto alla possibilità di delegittimarlo con una votazione. E le modalità di voto, probabilmente virtuali, non piacciono tanto….ma fra 15 giorni, forse ci sarà un nuovo amministratore. Così Murgo potrà pensare con tutta calma alla sua carriera di sindaco e al sito ci penserà qualcun altro.Pescara, rassegnati. Anche per i prossimi cinque anni non avrai un sovrano disposto a barattare il suo trono con una semplice e scomoda sedia di plastica.
Fonte: http://www.primadanoi.it/
Foto: PrimaDanoi e PescaraInComune
LA SCISSIONE INTERNA
Risalire ai motivi della scissione pescarese è quasi impossibile: il Meet Up Pescara 1 ha la sua teoria, il Meet Up Pescara 2 un'altra. E in un calderone dove è impresa off limits rintracciare le reali cause è però evidente che i cittadini non sono ancora pronti a gestire una macchina così grande.Quello che ha indispettito gli scissionisti è stata la mancanza di applicazioni delle regole grilliane nel gruppo.Prima tra tutte la tanto sbandierata partecipazione: «in un incontro con il Meet up dello scorso luglio», scrive Maria Gazia Di Paolo nel forum, «io porto con me una persona che vorrebbe candidarsi e voleva sapere qualcosa in più prima di farsi mettere nella lista. Solo verso la fine dell'incontro appresi, con mio grande stupore e anche un po' d'imbarazzo verso la persona che accompagnavo, che il capolista sarebbe stato lo stesso organizer del Meet up di Pescara (ovvero Murgo, ndr). Questo significa che indipendentemente dalla partecipazione attiva degli aderenti lui sarebbe stato il candidato sindaco».E la partecipazione che fine ha fatto? Il popolo sovrano? I cittadini?Il ruolo del politico come dipendente che fa quello che decide il popolo-datore di lavoro? Tutte chiacchiere. Se ci avevate creduto, dovete tornare indietro passando dal via.Ma le critiche non finiscono qui e in quella che può definirsi una vera e propria operazione trasparenza (parola tanto cara ai grillini) vengono messe sul tavolo tutte le contestazioni che nella pratica, almeno a Pescara, non funzionano. «L'organizzatore di una lista trasparente e partecipativa è anti democratico in quanto si è proclamato capo lista e candidato sindaco da solo, anti etico perchè utilizza un logo e una dicitura per lasciar pensare che dietro questa lista civica ci sia la persona di Beppe Grillo e scorretto in quanto fa pubblicità ad una sua attività sul profilo meet up. E'dittatoriale», continua la serie di critiche, «e nel forum viene specificato che "Il controllo e la supervisione in merito al rispetto delle suddette regole è demandato all'Organizer ed agli Assistant Organizer"», ovvero tutto quello che non va bene (secondo quale criterio?) Murgo cancella.E la libertà di parola e di opinione tanto sbandierata da papà Grillo che a cadenza semestrale pubblica nel suo blog la classifica dei paesi più inclini alla censura? Anche quella, nella pratica, non funziona.Su, tornate al punto di partenza e fermatevi un turno in prigione.
ANCHE FUORI PESCARA LA LISTA NON PIACE
La nascita della prima lista civica a Pescara non si sta facendo una buona reputazione nemmeno nel resto d'Italia. «Io e il gruppo di Firenze», scrive Ti- Jean nel Meet Up toscano rivolgendosi a Murgo, «organizzeremo dei percorsi di due mesi di assemblee e inviteremo la gente i cittadini, i politici e professori per discutere e capire cosa fare e se la lista civica può nascere. Cioè partecipazione e poi azione. Tu hai fatto un percorso diverso, hai voluto creare una lista civica, un marchio, un logo, identificarti come ideatore e promotore, calando dall'alto un bicchiere d'acqua alla folla assetata nel deserto politico di Pescara».«Il Murgo», criticano ancora on line, «sta pianificando azioni chirurgiche nell' inviare email a tutti lo scibile dell'informazione sul web, crede di scavalcare tutti i membri, facendosi conoscere a livello nazionale. Ormai è passato dalla parte di quelli che combattiamo e ci danno la nausea».E quale sarà il futuro dell'operazione politica pescarese in Toscana già lo prevedono: «ti sgonfierai da solo, perchè stai usando lo stesso vecchio sistema. Hai fatto un partito politico. Lo hai deciso e offerto agli altri. Se vi va bene votatemi!».
CUMULI DI CARICHE E DIMISSIONI
I cumuli di cariche sono un must della politica italiana. Senza due, tre incarichi un politico non ha credibilità. Non è nessuno. Scendiamo nel microcosmo pescarese, zoomiamo sul Meet Up namberuan e si scopre che anche qui ci sono dimissioni invocate (bersaglio sempre Murgo) per presunti cumuli di cariche (ma come? Proprio lui che parla parla… ).«Dimettiti», chiedono nel forum di Pescara, «da qualsiasi carica rappresentativa di questo portale e contemporaneamente da Organizer del gruppo 280 (che rappresenta l'anello di dialogo con il mondo Meet up)».Le dimissioni non sono arrivate (nella politica arrivano?), ma Murgo ha aperto alla possibilità di delegittimarlo con una votazione. E le modalità di voto, probabilmente virtuali, non piacciono tanto….ma fra 15 giorni, forse ci sarà un nuovo amministratore. Così Murgo potrà pensare con tutta calma alla sua carriera di sindaco e al sito ci penserà qualcun altro.Pescara, rassegnati. Anche per i prossimi cinque anni non avrai un sovrano disposto a barattare il suo trono con una semplice e scomoda sedia di plastica.
Fonte: http://www.primadanoi.it/
Foto: PrimaDanoi e PescaraInComune
lunedì 12 novembre 2007
Mauro Febbo (AN) alza il polverone OPS. Gli atti inviati alla Corte dei Conti ed al Prefetto.
Mauro Febbo, capogruppo di Alleanza Nazionale in Consiglio Provinciale ed ex-presidente della Provincia di Chieti, alza un vero e proprio polverone sul caso OPS, società partecipata dalla Provincia di Chieti che detiene il 78% del capitale sociale e che si occupa della verifica di impianti termici e della gestione del sistema informativo provinciale integrato.
Dallo studio della documentazione, infatti, emerge che la delibera relativa all'acquisizione da parte della Provincia delle quote di capitale della Ops spa -detenute attualmente da soggetti privati- è stata approvata da 15 consiglieri di maggioranza. Ma quella delibera è priva dell'impegno di spesa né può finanziarsi l'acquisto delle quote dei privati mediante l'ipotizzata distribuzione di utili da parte della società visto che la Ops non solo ha chiuso l'esercizio al 31 dicembre 2006 con una perdita di 248.419,71 euro come da relazione di stima del prof. Andrea Ziruolo, ma il bilancio preventivo 2008-2010 della società prevede una perdita di 275.995,00 euro per l'esercizio 2007.
L'assemblea dei soci della Ops non può dunque deliberare la distribuzione di utili se non previa copertura delle perdite.
E così il capogruppo di AN ha diffidato i dirigenti dei Settori Ragioneria ed Ambiente della Provincia dal dare esecuzione alla suddetta delibera, inviando gli atti anche al Procuratore regionale della Corte dei Conti e al Prefetto di Chieti.
Emerge pure che la valutazione delle azioni dei privati sia eccessiva perché non tiene in conto la perdita prevista per l'esercizio in corso. E se fosse vera la premessa su cui si fonda la delibera, ovvero il preteso divieto a carico della Ops di continuare ad operare per conto della Provincia dopo il 31 dicembre del 2008, alla scadenza della convenzione in essere, allora il valore reddituale della Ops sarebbe nullo trattandosi di società destinata alla liquidazione.
Il vero problema di una Ops interamente pubblica è che non essendoci l'obbligo di procedere a gare d'appalto, per l'affidamento dei servizi, tra i quali la manutenzione delle strade che l'Ops si appresta ad assumere, l'amministrazione Coletti continuerà a fare clientela, ovvero ad incrementare ulteriormente il numero degli interinali, passati negli ultimi tre anni e mezzo da 58 a 280 con una spesa a carico della Provincia di 6 milioni di euro l'anno, e dunque ad ingrossare le file dell'esercito dei precari, peraltro nel silenzio più assoluto di Rifondazione Comunista e della Cgil, e salterà il Patto di stabilità.
E il mancato rispetto del Patto di stabilità sta già provocando seri problemi: non vengono pagati i fitti, i fornitori, le bollette delle utenze principali, non si comprano banchi e arredi scolastici.
Un risultato comunque la diffida lo ha già prodotto poichè il consiglio di amministrazione dell'Ops, convocato per il 26 ottobre, non ha approvato l'acquisizione della quota dei privati rinviando ogni decisione al 22 novembre. In quella sede dovrebbe decidere anche sulla distribuzione degli utili, secondo quanto deliberato dal Consiglio Provinciale:
ma di quali utili parliamo?
L'acquisto delle azioni dei soci minoritari privati rappresenta, quindi, un'operazione giuridicamente ed economicamente non necessaria e come tale non conforme ai principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa.
domenica 11 novembre 2007
Alleanza Nazionale, Forza Italia ed i dubbi di Cirulli
Apprendiamo con stupore le dichiarazioni -apparse oggi su alcuni quotidiani locali- del coordinatore cittadino di Forza Italia in merito al presunto veto sul rientro di AN in maggioranza nel Consiglio Comunale di Lanciano.
Evidentemente si tratta di una nuova e personale visione dell’esponente cittadino di Forza Italia, che reputiamo non corrispondere né alla posizione del Sindaco Filippo Paolini né tantomeno ai vertici provinciali e regionali del suo partito.
Il percorso politico della nuova dirigenza locale di Alleanza Nazionale ha l’obiettivo di riportare il centrodestra unito in vista delle imminenti scadenze elettorali. In questo momento, quindi, è necessario ed opportuno ragionare in termini che vadano al di là del contesto locale, evitando sterili polemiche.
Vale la pena ricordare ancora una volta che AN garantì nel turno di ballottaggio alle ultime comunali il suo appoggio ufficiale al programma ed alla candidatura di Paolini, sostegno sancito anche da una conferenza stampa alla presenza dell’allora Presidente Provinciale del partito Fabrizio Di Stefano e dello stesso candidato sindaco. E’ fin troppo evidente che l’adesione ad un programma di governo cittadino si concretizza, all’interno delle istituzioni, con uomini ed idee.
Lanciano, 11 novembre 2007
Il Presidente
Marco Di Giovanni
Partito Democratico abruzzese: falsa partenza! 1° Assemblea regionale, 1° bufera!
"Ottaviano e Luciano separati in casa", "D'Alfonso leader ma è già lite", "Il sorriso di D'Alfonso gelato dai ginobliani", "Lo strappo di Del Turco e Ginoble": sono i titoli dei principali quotidiani di oggi che a prima vista sembrerebbero alludere ad un imminente spaccatura nel panorama politico abruzzese.
E invece no!!!
I titoli si riferiscono al primo appuntamento pubblico del neonato Partito Democratico abruzzese che si è svolto ieri a Sulmona per eleggere il Presidente dell'Assemblea regionale del partito. Un appuntamento che avrebbe dovuto consacrare la leadership di D'Alfonso ma che si è trasformato in farsa quanto i rappresentanti della minoranza del partito (circa il 35%), guidati dagli indomiti Ginoble e Del Turco, hanno abbandonato i lavori nel mezzo della votazione.
E' un film già visto, una pellicola di pessima fattura, una di quelle che racconta la politica con la "p" minuscola di casa nostra, del nostro Abruzzo.
Ed è un film con tanto di regista (il solito governatore Del Turco), di protagonsita (Don D'Alfonso), di cattivo antagonista (Ginoble) e di immancabili nani (il sottosegretario Lolli), dame (Stefania Pezzopane) e giullari di corte (il factotum, a suon di denari pubblici, Lamberto Quarta).
Ma il finale non è lieto, anzi...
Alla fine, la Pezzopane viene eletta Presidente dell'Assemblea del PD abruzzese con i soli voti della maggioranza (71 su 74 votanti) mentre la minoranza (una cinquantina dei totali 124 delegati eletti da circa 134mila abruzzesi), capeggiata da Ginoble e Del Turco, abbandona i lavori di fronte ad un incredulo Franco Marini presente nel parterre VIP in veste di "cittadino abruzzese".
L'elezione della Pezzopane, DS delle zone interne, va letta nello scacchiere geo-politico abruzzese del centrosinistra, come contrappeso al potere dei margheritini pescaresi.
Insomma, inizio pessimo per il PD regionale, tanto che oggi anche un quotidiano tradizionalmente "sensibile" alle istanze del centrosinistra come "Il Centro" (Gruppo De Benedetti), non risparmia dure critiche nell'editoriale di Luigi Vicinanza parlando di "brutta partenza, deludente", "è solo uno scontro di potere", "lo strappo di Sulmona non è all'altezza dei protagonisti".
Nell'ottica di un bipolarismo compiuto guardiamo con interesse alla nascita di una formazione politica di centrosinistra, ma forti perplessità rimangono a noi, e non solo a noi (gli italiani decideranno!) su come stia avvenendo questo processo. Finora abbiamo visto uno spettacolo pessimo, di basso profilo, fatto di spartizioni di potere e poltrone, di ripicche e capricci personali.
L'interrogativo inquietante è:
se questo è il nuovo che avanza, se questa è la ricetta all'anti-politica, se questa è la nuova classe dirigente del centrosinistra (nuova???) in Abruzzo e in Italia, allora siamo messi veramente male!
Lutto in AN
Il Circolo di Alleanza Nazionale si unisce con cordoglio al dolore immenso che ha colpito Luigi De Fanis, assessore al Comune di Atessa e storico esponente di Alleanza Nazionale, per l'improvvisa e tragica perdita del figlio Orazio.
Sentite condoglianze vanno anche alla famiglia ed ai parenti tutti.
venerdì 9 novembre 2007
9/11/'89: 18 anni fa crollava il Muro di Berlino segnando il fallimento dell'utopia comunista
18 anni fa, in un'indimenticabile notte, il crollo del Muro a Berlino apre improvvisamente una nuova fase storica: finisce la guerra fredda, è l'inizio della fine per l'URSS che da lì a poco si sgretolerà. Protagonista di questo momento storico è Giovanni Paolo II che, con il suo messaggio ecumenico, spingerà i popoli dell'Europa orientale a ribellarsi al giogo sovietico.
Noi a destra abbiamo il dovere di ricordare e celebrare degnamente questo giorno come FESTA DELLA LIBERTA' dall'utopia rossa e dal socialismo reale.
Ma è davvero finito il comunismo in Europa e nel mondo?? Assolutamente NO!!!
A casa nostra 2 forze politiche con tanto di rappresentanti in Parlamento e nel Governo nazionale rivendicano sfacciatamente la loro identità comunista (addirittura Diliberto, segretario del Partito dei Comunisti Italiani, vorrebbe portare in Italia la salma di Lenin!). Esistono poi svariate altre sigle, movimenti, associazioni che si richiamano abbastanza esplicitamente al comunismo ed alla sua abietta ideologia.
E poi nel mondo... Cina, Cuba, Corea del Nord, Birmania, molti regimi marxisti-leninisti africani... il comunismo non è morto, ma vive ed è ancora fortemente radicato, celandosi sotto vesti diverse ma con un unico, cinico denominatore comune: violazione dei diritti umani, repressione delle libertà religiose, terrore e repressione!
Quest'anno celebriamo questa data storica concentrando l'attenzione proprio su Cina, Tibet e Birmania.
Le tre questioni, peraltro strettamente correlate per via dell’occupazione cinese nella terra del Dalai Lama e del palese sostegno del regime comunista di Pechino alla giunta militare birmana, portano alla ribalta muri odiosi che non cadono e anzi si rafforzano grazie ai timori e alle connivenze dell’Occidente: violazione dei diritti umani, negazione della libertà religiosa e delle identità culturali, sfruttamento del lavoro e dell’ambiente sono i paradigmi su cui si regge un sistema totalitario che incarna le abiezioni ideologiche e repressive del comunismo e le peggiori degenerazioni del turbo-capitalismo.
Con buona pace dei tanti soloni che parlano della Cina come di una grande opportunità di sviluppo, riteniamo che la destra debba fare della battaglia contro il regime di Pechino una battaglia epocale di civiltà proprio come anni fa i nostri fratelli maggiori fecero contro il comunismo sovietico.
Non contro il popolo cinese, ma per il popolo cinese. Per la sua libertà, per i suoi diritti. E al contempo per quelli dei popoli vicini e dei nostri popoli europei che appaiono indifesi di fronte alla competizione con un Paese in cui si viola qualsiasi regola del mercato del lavoro.
giovedì 8 novembre 2007
La questione sicurezza/immigrazione clandestina vista da Gianfranco FINI
Gianfranco Fini, intervenendo alla trasmissione "In mezz'ora" di Lucia Annunziata su Rai3, ha fatto alcune dichiarazioni importanti sulla questione sicurezza/immigrazione clandestina.
"Solo a Roma andrebbero fatte subito 20.000 espulsioni. I politici dovrebbero andare poi a farsi anche un bel giro a Tor bella Monaca, ormai diventata come il Bronx". Fini ricorda di essersi "schierato" pro ingresso della Romania nella Ue, ribadisce che vanno espulsi tutti gli stranieri, anche europei, senza casa e lavoro.
Parlando del tema più attuale, quello della sicurezza e dell'immigrazione incontrollata, il presidente di An non ha fatto sconti a nessuno e tantomeno a Lucia Annunziata, con la quale ha avuto uno scontro diretto durante la trasmissione. "Non ci si può integrare con chi ritiene disdicevole lavorare, ruba i bambini e li destina all'accattonaggio o sfrutta le donne" ha dichiarato Fini a proposito dei rom e la frase non è piaciuta alla giornalista, che ha replicato affermando che "delle generalizzazioni che riferite a un popolo equivalgono a definizioni razziste". A questo punto, Fini si è arrabbiato: "Io ho semplicemente detto che non ci si può integrare con chi non accetta le regole. Nessuno può venire in Italia e mettere i piedi sul tavolo. Cerchi di capirlo e lo spieghi anche ai suoi amici: la responsabilità di quello che accade è singola e non è del contesto sociale. Io non dipingo un quadro a tinte fosche, ma tento di interpretare la realtà".
Fini ha rivolto dichiarazioni polemiche anche nei confronti di Walter Veltroni, ritenuto dal leader di An tra i principali responsabili della tragedia occorsa a Giovanna Reggiani. "Il sindaco di Roma non può fare Alice nel paese delle meraviglie -ha sbottato- Roma non è Disneyland e perciò si occupi meno delle Feste del cinema e delle 'Notti bianche' e un po più della igilanza sul territorio, perché quella di Tor di Quinto era una tragedia annunciata. Non se ne può più dell'ipocrisia di una sinistra che tenta di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati".
"Intimare l'espulsione non basta. Della mia legge io rivedrei questo meccanismo perché non basta dire 'questa è l'espulsione si accomodi'. E per quanto riguarda l'arrivo di comunitari, un cittadino rumeno, quando arriva alla frontiera, non deve esibire il passaporto in quanto cittadino dell'Ue, ma nulla osta che un nostro funzionario di polizia si segni il nome di quella persona e se dopo 10 giorni si scopre che vive in una baraccopoli è di tutta evidenza che non è venuto per lavorare e allora va espulso".
martedì 6 novembre 2007
L'unica destra plausibile (di Marcello De Angelis)
Fonte: www.area-online.it
di Marcello De Angelis
Quando Gianfranco Fini - o chi altro insieme a lui - ha annunciato l’intenzione di fare una manifestazione il giorno prima delle primarie del Partito democratico, io non ero d’accordo. Temevo che il paragone dei numeri venisse a nostro sfavore e che la notizia della mobilitazione veltroniana oscurasse la nostra presenza. Quando Fini ha deciso che dovesse essere una manifestazione della sola An e in nessun modo diluita in cartelli più ampi o integrata da altre sigle, io ero preoccupato. Ritenevo che il partito fosse in una fase “di stanca” e che il solo richiamo identitario non sarebbe stato sufficiente a riempire i ranghi. Quando Fini - o chi per lui - proclamava in televisione che saremmo stati centomila, io ero sconsolato. Mi dicevo che se fossimo stati quarantamila sarebbe stato un grande successo, che si sarebbe però trasformato in fallimento paragonato ad un pronostico così eccessivamente ottimistico.
Avevo torto, su tutta la linea. In certi casi avere torto è una grande soddisfazione.
Una tale erronea valutazione però, induce a riflettere. Riflettere, ad esempio, sul fatto che la percezione della politica dei commentatori di mestiere e degli addetti ai lavori non è più adeguata e sicuramente non in sintonia con quella dei “fruitori” della politica.
Spiego meglio. La diaspora guidata da Storace, agli occhi di chi, come noi, vive il mondo della politica come un’esperienza personale, umana e quasi familiare, ha dato la sensazione di un possibile svuotamento del partito come noi lo conoscevamo. Un’esperienza triste, tutto sommato, che ci provocava amarezza e rammarico all’idea di quanti compagni di strada avremmo potuto perdere. Condizionati anche dal colloquio quotidiano con i nostri colleghi giornalisti e, in particolare, cronisti parlamentari, siamo stati influenzati dalla sensazione che An fosse statica e non comunicasse, agli aderenti come all’elettorato, l’immagine di una forza di opposizione dinamica.
A rendere ancor più cupa la nostra visione dell’attualità aveva contribuito anche il saggio di un nostro caro carissimo amico: Il passo delle oche, di Alessandro Giuli. Nel suo agile pamphlet edito da Einaudi, il giovane giornalista del Foglio, già nostro collega ad Area, cresciuto con schiena rettissima nella Fondazione Julius Evola e fieramente schierato “dalla parte sbagliata” da tre generazioni, ci raccontava, nella nostra lingua e con i nostri riferimenti, poeticamente inframmezzati dalle nostre visioni e dai nostri ricordi, che il percorso nel quale anche noi ci eravamo incamminati, per ormai un decennio, era un pellegrinaggio verso il nulla.
Era un’immagine da incubo per chi - e si tratta di molti - non ha mai conosciuto altro che la marcia nel deserto della militanza politica, attraverso età e stagioni diverse, che esigevano equipaggiamenti e abbigliamento consono al cambiamento di terreno e ai cambiamenti di clima, ma pur nella certezza di aver sempre compiuto, al meglio delle possibilità, il proprio dovere verso la nazione, la propria comunità umana e - perché no? - il proprio destino.
Erano anche convinti - alcuni di noi - di essere vieppiù meritevoli per aver presidiato i confini in cui le idee rischiavano di offuscarsi e i sacrifici vanificarsi, impedendo che ciò avvenisse a costo di un arduo e poco glorioso lavoro in cui bisognava “spalare” e costruire argini, assumersi responsabilità scomode e mettere a repentaglio la propria credibilità. Molte volte, è inutile negarlo, avendo anche difficoltà a dormire, chiedendosi quanto ancora fosse necessario subire e se non fosse più facile mandare tutto a carte quarantotto per rifugiarsi in un ruolo dove dover rispondere solo a se stessi, senza doversi fare carico di niente e nessuno, finalmente liberi nella propria torre d’avorio.
Un frastuono di piazza ci ha brutalmente risvegliato da questo romantico autocompatimento. Erano mezzo milione? Trecentomila? Centomila? La mia esperienza e capacità quasi autistica di calcolare i partecipanti a manifestazioni, convegni, concerti, mi ha fatto contare fino a sessantamila, poi ho lasciato perdere perché non riuscivo più a tenere il conto. Quindi, avevo torto. Avevo torto a temere che sfigurassimo con i numeri (inverificabili) delle primarie del Pd. Avevo torto a preoccuparmi che la mobilitazione non avrebbe ottenuto la risposta di militanti e simpatizzanti che invece si sono addirittura moltiplicati sotto i nostri occhi a mano a mano che passavano i minuti. Forse non avevo torto solo nel condividere la malinconia nostalgica di una visone aristocratica, di una minoranza separata dal mondo e orgogliosa della propria assoluta diversità, nostalgia dolcissima che stillava da ogni carattere del libro del carissimo Alessandro Giuli. Anche io piango spesso per quello che non c’è più, anche per quello che è così lontano che non so più se fosse reale o prodotto dalla mia immaginazione che nobilita e abbellisce i ricordi. E ho soprattutto nostalgia di me stesso trent’anni fa e del mondo in cui credevo di vivere.
Ma la politica non è più solo testimonianza, ma condivisione, col maggior numero di persone possibile, di un progetto e della sua realizzazione.
Quale progetto? Una nuova Italia. Per chi? Per tutti coloro che si assumano il dovere e la dignità di esserne cittadini. Secondo quali valori? Quelli del vissuto comune del popolo italiano, dotato di sfumature che si manifestano nei dibattiti dell’attualità, ma consolidato dalla vita di numerose generazioni. Chi siamo? Gli italiani. Da dove veniamo? Da qui. Dove siamo diretti? Verso la maggior gloria della nostra patria. Certo, ci è difficile smettere di giudicare le persone in base alla loro provenienza, ma siamo consapevoli che sia oggi più importante giudicare in base a dove vogliano andare.
Il passato non ci assolve dal dovere di realizzare il futuro. Aver combattuto un tempo non ci esenta dalla chiamata a combattere ogni giorno che verrà. Certo, ognuno come ritiene giusto; ognuno giudicando se stesso in base ai risultati del proprio agire.
In Italia, oggi, il concetto di destra si è espanso e quindi, per certi versi, diluito. Destre ce n’è più d’una, secondo alcuni. Per alcuni di noi, definirsi “semplicemente” di destra sembra addirittura riduttivo e angusto.
Ma se destra è riaffermazione e difesa dei valori delle tradizioni, volontà di potenza di un popolo e di una nazione, preminenza dell’interesse comune su quello individuale, riconoscimento e rispetto delle identità e pragmatismo e buonsenso nelle scelte operative, io ritengo ancora che Alleanza nazionale sia la destra più plausibile.
Quattro anni di chiacchiericcio sul partito unico non mi hanno intimorito, ma il fatto che An sia ancora qui e che sia più forte mi tranquillizza. Con tutto il rispetto, non mi sentirei a casa con una destra regionalista che brucia la bandiera italiana e mi dispiace che, anche coi voti di An, il vilipendio al Tricolore sia stato depenalizzato. Con tutta la stima, non posso fare a meno di provare disagio ascoltando alcuni passaggi di recenti discorsi di Berlusconi, dai quali sembrerebbe che, per lui, il mondo perfetto sia un mondo con un’unica grandissima e indiscussa potenza intorno alla quale tutte le nazioni debbano scodinzolare nella speranza di ottenere un osso e una carezza sulla testolina. Non avrei nemmeno sommo piacere a trovarmi in una destra che di popolare avesse solo il nome e magari solo in virtù di un riferimento a partiti che non ci sono più e ai quali nessuno dei miei ha mai appartenuto, perché aveva sì il più profondo rispetto per la Chiesa, ma riteneva anche che la maggiore realizzazione del matrimonio di Dio con la madre terra fosse la propria nazione, più bella e più amabile di qualsiasi altra cosa nel creato.
Io credo nella geopolitica, che stabilisce il destino dei popoli, e nella mistica della nazione che obbliga ognuno di noi a trascendere i limiti angusti del proprio essere individuale e della propria breve manifestazione terrena. Credo nel dovere della stirpe, che ci lega a tutte le generazioni passate e ci vincola ad assicurare un destino alle generazioni future.
Non credo in nulla che sia fuori dalla politica, perché la politica è la vita della mia nazione, e non credo a nessuno che sia fuori dalla politica o parli contro la politica, perché la politica è l’architettura della vita comune e chiunque se ne tiri fuori o la voglia indebolire è nemico del tutto perché vuole impossessarsi di una parte o vuole che una parte domini su tutte le altre.
Credo che tutti gli italiani debbano essere uniti in una grande alleanza nel nome della nazione e che solo la salvezza e la prosperità della nazione siano il discrimine che debba orientare le scelte della politica.
Mi impegno perché una tale alleanza per la nazione esista davvero e perché non venga meno alla missione dichiarata dal proprio nome.
Ma con la forza di uno è già difficile tenere insieme una vita; per costruire un destino, è necessaria la forza di molti.
Spiego meglio. La diaspora guidata da Storace, agli occhi di chi, come noi, vive il mondo della politica come un’esperienza personale, umana e quasi familiare, ha dato la sensazione di un possibile svuotamento del partito come noi lo conoscevamo. Un’esperienza triste, tutto sommato, che ci provocava amarezza e rammarico all’idea di quanti compagni di strada avremmo potuto perdere. Condizionati anche dal colloquio quotidiano con i nostri colleghi giornalisti e, in particolare, cronisti parlamentari, siamo stati influenzati dalla sensazione che An fosse statica e non comunicasse, agli aderenti come all’elettorato, l’immagine di una forza di opposizione dinamica.
A rendere ancor più cupa la nostra visione dell’attualità aveva contribuito anche il saggio di un nostro caro carissimo amico: Il passo delle oche, di Alessandro Giuli. Nel suo agile pamphlet edito da Einaudi, il giovane giornalista del Foglio, già nostro collega ad Area, cresciuto con schiena rettissima nella Fondazione Julius Evola e fieramente schierato “dalla parte sbagliata” da tre generazioni, ci raccontava, nella nostra lingua e con i nostri riferimenti, poeticamente inframmezzati dalle nostre visioni e dai nostri ricordi, che il percorso nel quale anche noi ci eravamo incamminati, per ormai un decennio, era un pellegrinaggio verso il nulla.
Era un’immagine da incubo per chi - e si tratta di molti - non ha mai conosciuto altro che la marcia nel deserto della militanza politica, attraverso età e stagioni diverse, che esigevano equipaggiamenti e abbigliamento consono al cambiamento di terreno e ai cambiamenti di clima, ma pur nella certezza di aver sempre compiuto, al meglio delle possibilità, il proprio dovere verso la nazione, la propria comunità umana e - perché no? - il proprio destino.
Erano anche convinti - alcuni di noi - di essere vieppiù meritevoli per aver presidiato i confini in cui le idee rischiavano di offuscarsi e i sacrifici vanificarsi, impedendo che ciò avvenisse a costo di un arduo e poco glorioso lavoro in cui bisognava “spalare” e costruire argini, assumersi responsabilità scomode e mettere a repentaglio la propria credibilità. Molte volte, è inutile negarlo, avendo anche difficoltà a dormire, chiedendosi quanto ancora fosse necessario subire e se non fosse più facile mandare tutto a carte quarantotto per rifugiarsi in un ruolo dove dover rispondere solo a se stessi, senza doversi fare carico di niente e nessuno, finalmente liberi nella propria torre d’avorio.
Un frastuono di piazza ci ha brutalmente risvegliato da questo romantico autocompatimento. Erano mezzo milione? Trecentomila? Centomila? La mia esperienza e capacità quasi autistica di calcolare i partecipanti a manifestazioni, convegni, concerti, mi ha fatto contare fino a sessantamila, poi ho lasciato perdere perché non riuscivo più a tenere il conto. Quindi, avevo torto. Avevo torto a temere che sfigurassimo con i numeri (inverificabili) delle primarie del Pd. Avevo torto a preoccuparmi che la mobilitazione non avrebbe ottenuto la risposta di militanti e simpatizzanti che invece si sono addirittura moltiplicati sotto i nostri occhi a mano a mano che passavano i minuti. Forse non avevo torto solo nel condividere la malinconia nostalgica di una visone aristocratica, di una minoranza separata dal mondo e orgogliosa della propria assoluta diversità, nostalgia dolcissima che stillava da ogni carattere del libro del carissimo Alessandro Giuli. Anche io piango spesso per quello che non c’è più, anche per quello che è così lontano che non so più se fosse reale o prodotto dalla mia immaginazione che nobilita e abbellisce i ricordi. E ho soprattutto nostalgia di me stesso trent’anni fa e del mondo in cui credevo di vivere.
Ma la politica non è più solo testimonianza, ma condivisione, col maggior numero di persone possibile, di un progetto e della sua realizzazione.
Quale progetto? Una nuova Italia. Per chi? Per tutti coloro che si assumano il dovere e la dignità di esserne cittadini. Secondo quali valori? Quelli del vissuto comune del popolo italiano, dotato di sfumature che si manifestano nei dibattiti dell’attualità, ma consolidato dalla vita di numerose generazioni. Chi siamo? Gli italiani. Da dove veniamo? Da qui. Dove siamo diretti? Verso la maggior gloria della nostra patria. Certo, ci è difficile smettere di giudicare le persone in base alla loro provenienza, ma siamo consapevoli che sia oggi più importante giudicare in base a dove vogliano andare.
Il passato non ci assolve dal dovere di realizzare il futuro. Aver combattuto un tempo non ci esenta dalla chiamata a combattere ogni giorno che verrà. Certo, ognuno come ritiene giusto; ognuno giudicando se stesso in base ai risultati del proprio agire.
In Italia, oggi, il concetto di destra si è espanso e quindi, per certi versi, diluito. Destre ce n’è più d’una, secondo alcuni. Per alcuni di noi, definirsi “semplicemente” di destra sembra addirittura riduttivo e angusto.
Ma se destra è riaffermazione e difesa dei valori delle tradizioni, volontà di potenza di un popolo e di una nazione, preminenza dell’interesse comune su quello individuale, riconoscimento e rispetto delle identità e pragmatismo e buonsenso nelle scelte operative, io ritengo ancora che Alleanza nazionale sia la destra più plausibile.
Quattro anni di chiacchiericcio sul partito unico non mi hanno intimorito, ma il fatto che An sia ancora qui e che sia più forte mi tranquillizza. Con tutto il rispetto, non mi sentirei a casa con una destra regionalista che brucia la bandiera italiana e mi dispiace che, anche coi voti di An, il vilipendio al Tricolore sia stato depenalizzato. Con tutta la stima, non posso fare a meno di provare disagio ascoltando alcuni passaggi di recenti discorsi di Berlusconi, dai quali sembrerebbe che, per lui, il mondo perfetto sia un mondo con un’unica grandissima e indiscussa potenza intorno alla quale tutte le nazioni debbano scodinzolare nella speranza di ottenere un osso e una carezza sulla testolina. Non avrei nemmeno sommo piacere a trovarmi in una destra che di popolare avesse solo il nome e magari solo in virtù di un riferimento a partiti che non ci sono più e ai quali nessuno dei miei ha mai appartenuto, perché aveva sì il più profondo rispetto per la Chiesa, ma riteneva anche che la maggiore realizzazione del matrimonio di Dio con la madre terra fosse la propria nazione, più bella e più amabile di qualsiasi altra cosa nel creato.
Io credo nella geopolitica, che stabilisce il destino dei popoli, e nella mistica della nazione che obbliga ognuno di noi a trascendere i limiti angusti del proprio essere individuale e della propria breve manifestazione terrena. Credo nel dovere della stirpe, che ci lega a tutte le generazioni passate e ci vincola ad assicurare un destino alle generazioni future.
Non credo in nulla che sia fuori dalla politica, perché la politica è la vita della mia nazione, e non credo a nessuno che sia fuori dalla politica o parli contro la politica, perché la politica è l’architettura della vita comune e chiunque se ne tiri fuori o la voglia indebolire è nemico del tutto perché vuole impossessarsi di una parte o vuole che una parte domini su tutte le altre.
Credo che tutti gli italiani debbano essere uniti in una grande alleanza nel nome della nazione e che solo la salvezza e la prosperità della nazione siano il discrimine che debba orientare le scelte della politica.
Mi impegno perché una tale alleanza per la nazione esista davvero e perché non venga meno alla missione dichiarata dal proprio nome.
Ma con la forza di uno è già difficile tenere insieme una vita; per costruire un destino, è necessaria la forza di molti.
lunedì 5 novembre 2007
L'antipolitica? Tutta una bufala (di Marcello De Angelis)
di Marcello De Angelis
AREA - Mensile della Destra Sociale - Ottobre 2007
Fonte: www.area-online.it
Fonte: www.area-online.it
Solo un paio di mesi fa, ognuno era pronto a scommettere che la politica parlamentare fosse giunta alla fine. L’onda dell’antipolitica avanzava senza che nulla sembrasse poterla arginare. Dai blog alla prova di forza in piazza, con Grillo che arringava una folla di decine di migliaia. Poi, d’improvviso, la risacca. A ritmo sempre più frenetico la politica - quella sindacale e giovanile e poi quella parlamentare - ha ripreso possesso della piazza (e quindi delle prime pagine dei giornali) con numeri tali da ricondurre la mobilitazione antipolitica da “fenomeno” a “sintomo”. Lo stesso termine antipolitica, non so da chi coniato, era piuttosto inappropriato. L’antipolitica può essere il disinteresse per la politica, il qualunquismo che porta al rigetto del “tanto sono tutti uguali”, il riflusso nell’individualismo, ma certo non una mobilitazione di centinaia di migliaia di persone.
Il fenomeno per altro non è nuovo e il suo nome appropriato è antiparlamentarismo. Ogni qualvolta - e nelle democrazie accade a intervalli regolari - il parlamento si chiude su se stesso e porzioni importanti di popolazione non si sentono istituzionalmente rappresentate, si affacciano e spesso si affermano forze nuove che tentano di farsi largo tra le maglie del panorama partitico facendo leva sull’antiparlamentarismo.
Il fenomeno per altro non è nuovo e il suo nome appropriato è antiparlamentarismo. Ogni qualvolta - e nelle democrazie accade a intervalli regolari - il parlamento si chiude su se stesso e porzioni importanti di popolazione non si sentono istituzionalmente rappresentate, si affacciano e spesso si affermano forze nuove che tentano di farsi largo tra le maglie del panorama partitico facendo leva sull’antiparlamentarismo.
Da noi l’esempio più recente è quello della Lega Nord. Gli ingredienti retorici e formali sono sempre gli stessi e si concretizzano in un attacco verso tutti i partiti, accusati di non rappresentare più gli interessi dei cittadini ma solo i propri. Se l’operazione funziona, solitamente il movimento antiparlamentare viene riassorbito nell’ambito del parlamentarismo e modera nel tempo i toni della propria arringa portando anche, a volte e nel migliore dei casi, un minimo di reale rinnovamento nelle istituzioni. Nei casi peggiori, porta solo in Parlamento degli aspiranti parlamentari che non trovavano collocazione nei partiti “tradizionali”.
La crisi di credibilità e di legittimità delle rappresentanze parlamentari è periodica e fisiologica e forse è bene che sia così, perché il Parlamento, come qualunque istituzione politica, tende naturalmente a preservare i propri assetti, e quindi una periodica ondata di contestazione è uno stimolo salutare a fare autocritica e a imporsi dei cambiamenti. Il sociologo svizzero naturalizzato italiano Robert Michels lo asseriva già negli anni Venti. Nella sua sociologia del partito politico Michels affermava, senza ideologismi, che il Parlamento è inevitabilmente il luogo naturale in cui le burocrazie dei partiti si accordano costituendo di fatto un’oligarchia. La sua critica “funzionale” del Parlamento non riconosceva alcuna differenza di valore tra un partito e l’altro dimostrando, a suo avviso con metodo scientifico, che la democrazia parlamentare non consente per sua natura di sfuggire all’inevitabile «legge ferrea dell’oligarchia» perché «chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia».
Come si vede, Sergio Rizzo e Gianantonio Stella, nel loro bestseller La casta, non si sono inventati niente. Semmai hanno trivializzato e banalizzato un discorso che ha portato altri prima di loro ad analizzare scientificamente dei meccanismi, facendo appello ad una istintiva e diffusa invidia sociale per creare un caso letterario. Spostando l’attenzione sul privilegio di un taglio di capelli gratuito o sul prezzario della mensa di Palazzo Madama, hanno allontanato ulteriormente i cittadini dall’analisi critica dei meccanismi della democrazia, macchiandosi del peggior vizio dei democratici e cioè la demagogia, che per i greci era la pratica di “educare il popolo” e nella democrazia moderna equivale invece a prenderlo per i fondelli.
Nelle democrazie parlamentari, in conclusione, o si fa parte del Parlamento o se ne sta fuori. E se si sta fuori si hanno solo due opzioni: cercare di entrarci o fare una rivoluzione che cambi radicalmente le regole. Per la seconda ci vorrebbe il consenso della maggioranza dei cittadini, che a me sembra che non ci sia affatto, anche perché gli italiani sono stati per così tanti decenni incantati con ricette utopiche o insurrezionali, da finire per convincersi che la democrazia parlamentare è il meno peggio che ci possa capitare.
Nelle democrazie parlamentari, in conclusione, o si fa parte del Parlamento o se ne sta fuori. E se si sta fuori si hanno solo due opzioni: cercare di entrarci o fare una rivoluzione che cambi radicalmente le regole. Per la seconda ci vorrebbe il consenso della maggioranza dei cittadini, che a me sembra che non ci sia affatto, anche perché gli italiani sono stati per così tanti decenni incantati con ricette utopiche o insurrezionali, da finire per convincersi che la democrazia parlamentare è il meno peggio che ci possa capitare.
Quindi chi sobilla lo scontento e il disprezzo fine a se stesso contro il Parlamento e i parlamentari dovrebbe almeno essere consapevole di dove porti un simile atteggiamento e prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Spiegare cioè ai cittadini quali siano le vere motivazioni del suo predicare: vendere molti libri? Favorire un’insurrezione di massa? O candidarsi alle prossime elezioni per finire a far parte - finalmente! - dell’odiata casta dei privilegiati? Chi fa politica sul serio non può non essere invece consapevole che in Italia ci sono problemi serissimi, che rischiano di portare al collasso l’intero sistema-Paese e che non è certo togliendo ai parlamentari un taglio di capelli che sarà possibile scongiurarlo.
NONOSTANTE IL FREDDO... NON C'E' NESSUN "CONGELAMENTO" DI AN A LANCIANO
Avremmo preferito glissare su una pseudo-notizia pubblicata negli ultimi giorni sulla stampa locale ma un sentito dovere di correttezza di informazione, anche nei confronti dei nostri elettori, ci impone di intervenire per qualche chiarimento.
Ci riferiamo al presunto “congelamento” del passaggio di AN in maggioranza nel consiglio comunale a Lanciano a causa di un “ripensamento” da parte di alcuni amministratori locali.
L’informazione è assolutamente infondata e tende a screditare l’immagine di alcune persone e ad alzare un inutile polverone polemico che vogliamo assolutamente evitare perché non è nel nostro stile.
Ci riferiamo al presunto “congelamento” del passaggio di AN in maggioranza nel consiglio comunale a Lanciano a causa di un “ripensamento” da parte di alcuni amministratori locali.
L’informazione è assolutamente infondata e tende a screditare l’immagine di alcune persone e ad alzare un inutile polverone polemico che vogliamo assolutamente evitare perché non è nel nostro stile.
Non dovremmo essere noi a farlo, ma a questo punto è doveroso ricordare a chi scrive sulla stampa che appartiene alla deontologia professionale del giornalista verificare con i diretti interessati e con le fonti ufficiali la fondatezza delle informazioni prima della loro pubblicazione, onde evitare notizie false e tendenziose, come in questo caso.
Crediamo, invece, che la malafede di qualcuno abbia prevalso nel diffondere un’informazione infondata e nata dall’interpretazione distorta di documenti che non avevano come destinataria la stampa.
Crediamo, invece, che la malafede di qualcuno abbia prevalso nel diffondere un’informazione infondata e nata dall’interpretazione distorta di documenti che non avevano come destinataria la stampa.
Altresì comprendiamo che il ritorno di un partito importante come Alleanza Nazionale nella maggioranza di governo cittadino crei qualche “mal di pancia” in chi non crede alla ritrovata ed attesa unità del centrodestra frentano.
Ma su questo punto c’è la nostra piena serenità e la nostra convinta fermezza perché il progetto di Alleanza Nazionale va avanti, forte anche del consenso espresso dal Sindaco Paolini, come massimo esponente dell’amministrazione comunale.
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